Matic: «Ricordo le bombe piovere dal cielo durante la guerra in Serbia. Il mio popolo non perdonerà mai»
Al Messaggero: «Essere allenati da Mou è un privilegio: ti affascina con la sua fame di successo. Non l'ho mai visto soddisfatto»

Il Messaggero intervista Nemanja Matic. Mourinho lo ha convinto a sbarcare a Roma con una telefonata di pochi minuti. Parla del tecnico.
«Ha semplicemente qualcosa in più. Mou ti motiva, ti sprona perché è lui il primo ad avere fame di vittorie. Penso di conoscerlo abbastanza bene e posso assicurare di non averlo mai visto soddisfatto. O meglio, lo può essere dopo un match vinto, dopo un trofeo conquistato ma 5 minuti dopo è lì che già pensa al domani. E questo suo modo di essere ti affascina. Così per ogni calciatore diventa un privilegio essere allenati da lui. Se poi si aggiunge che ovunque va, ottiene risultati, si capisce perché ogni giocatore ambisce a giocare nelle sue squadre».
Nel 2016 aiutò il suo paese natale, Vrelo, pagando tutti i debiti che i cittadini avevano nei confronti di alcuni negozi e supermercati della zona. Lo racconta.
«Non amo parlare molto di questi aspetti. Le cose si fanno senza reclamizzarle. Siccome ormai è uscito fuori, posso dire che è stato un gesto naturale. Ho cercato e cerco anche oggi di aiutare le persone dell’area nella quale sono nato. Sono cresciuto in una zona povera dove non c’erano campi da calcio, da ragazzini avevamo soltanto un pallone. E adesso cerco di fare in modo che i bambini di Vrelo possano avere un’infanzia migliore di quella che ho avuto io».
In Premier League rifiutò di indossare il papavero rosso nel “Remembrance Poppy”, simbolo del ricordo della fine della Prima Guerra Mondiale e delle altre guerre.
«In realtà avevo iniziato a portarlo. Poi però il Governo inglese ha spiegato che quel simbolo serviva ad omaggiare tutti i soldati britannici caduti in tutte le guerre alle quali aveva partecipato il paese, ivi compreso il bombardamento contro la Serbia nel 1999. Da quel momento ho smesso. Non potevo indossare qualcosa che ha distrutto la mia casa, la mia gente, ha fatto migliaia di morti. È come se io uccidessi i suoi parenti e qualcuno la costringesse ad avere la mia foto sul comodino. Lei accetterebbe?».
Ventitré anni fa, ai tempi dei bombardamenti della Nato, viveva in Serbia?
«Sì ero un ragazzino, avevo 11-12 anni. Sono immagini che non mi toglierò mai dalla mente. Hanno semplicemente distrutto tutto. A casa avevamo un piccolo giardino e io da lì vedevo queste bombe piovere dal cielo. Sono cresciuto con la paura. Alla fine sono morti cinquemila civili. Il nostro popolo non potrà mai né dimenticare né perdonare».