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L’accusatore di Armstrong: «Il 99% dei ciclisti si dopava. Se ti dopavi, guadagnavi 10 volte di più»

L’ex ciclista Bassons alla Sueddeutsche: «Se ti dopavi guadagnavi 45mila euro al mese, altrimenti 4.500. Il ciclismo vive in una grande bugia, anche in tv»

L’accusatore di Armstrong: «Il 99% dei ciclisti si dopava. Se ti dopavi, guadagnavi 10 volte di più»

La Sueddeutsche intervista l’ex ciclista professionista Christophe Bassons. Fu il primo grande accusatore di Lance Armstrong per la questione doping. Oggi è insegnante di educazione fisica e tiene conferenze sulla prevenzione del doping. Negli anni Novanta, mentre molti ciclisti ricorrevano al doping per vincere, lui si oppose alla pratica in modo aspro e pubblicamente. Fu costretto ad abbandonare il Tour de France del 1999 messo al bando da gran parte del suo gruppo della Festina, capitanato proprio da Armstrong, per gli articoli apparsi su Le Monde in cui Bassons criticava i regolamenti antidoping.

In Germania circola un documentario dedicato a Ullrich che lo mostra come una vittima di un ciclismo che premiava con il successo solo chi tradiva le regole dello sport. Dà il suo parere:

«Tutti abbiamo una scelta. Anche se trovi un sistema che cerca di convincerti che esiste una sola soluzione, c’è sempre quel piccolo divario, il divario che ti permette di rimanere in pace con te stesso».

Continua:

«Quando correvo, il 99% dei ciclisti si drogava».

Ha una sua teoria.

«Nel ciclismo arrivano molti giovani con uno zaino pieno di valori e di morale. Dicono: “vinco anche senza imbrogliare!”. E poi, passo dopo passo, ti rendi conto che puoi esistere in questo ambiente solo se giochi secondo le regole del più forte. Cosa ci vuole per dire di no? Coraggio? Io non mi vedo come una persona coraggiosa. Per me era molto più importante avere un ambiente che mi permettesse di essere libero. Se sei libero non devi essere coraggioso».

Racconta il ciclismo.

«Quando i ciclisti arrivano nel ciclismo professionistico viene insegnato loro a pedalare e nient’altro. Gli mettono le persone al loro fianco per nascondergli che sono da soli. Ti viene data una definizione di felicità, che ovviamente significa solo per i team manager che devi essere quello che alza le braccia sul traguardo e indossa la maglia gialla. Si costruisce un ideale che dovrebbero raggiungere. E l’unico modo per farlo è il doping».

Ci sono diversi motivi per rinunciare al doping: i rischi per la salute, il fatto che si tratti di frode. Qual era la sua ragione?

«Il doping non è una questione di rinuncia per me. Se ti dici sempre ‘non posso farlo’, allora sei già morto. Devi riuscire a sviluppare una filosofia in cui il doping non ti viene in mente perché è diametralmente opposto alla tua motivazione. Come si fa? Allontanandosi dall’idea di voler essere migliore di tutti gli altri, ma usando la competizione per sfruttare al meglio se stessi. Meglio di quello che hai fatto ieri. Sfidare la competizione per esplorare i tuoi limiti e spingerti oltre, non superarli per voler sconfiggere gli altri. Perché una volta che entri nella spirale del doping, vivi in una bugia. Altre persone conoscono i tuoi segreti. E se gli altri conoscono i tuoi segreti, non sei libero. Rousseau diceva: “l’uomo nasce libero, ma ovunque giace in catene”».

Parla di professionisti come se fossero gli atleti meno liberi di sempre.

«La maggior parte dei professionisti non pratica questo sport perché si diverte a pedalare. Il ciclismo soddisfa i miei sensi e quelli di molte persone: il vento che ti soffia in faccia, gli odori che senti in sella, la sensazione di essere completamente esausto. I professionisti sperimentano un ciclismo completamente diverso. Si tratta di risultati, di pressioni per il successo, di un nuovo contratto. Dietro ci sono gli allenatori che iniziano una stagione con l’obiettivo: preparare il mio atleta a vincere il Tour o una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Ma la cosa che dovrebbe motivarmi di più è ottenere il massimo dal mio corpo, da questo corpo con cui sono venuto al mondo».

Racconta che ai suoi seminari contro il doping spesso non va nessuno ad assistere.

«Quindi perché chiedere ai giovani ciclisti di essere migliori degli altri?».

Il ciclismo è cambiato, rispetto ai suoi tempi?

«La lotta contro il doping è diventata molto più efficace ma la mentalità è rimasta la stessa. Tutti vivono ancora in una grande bugia. Al giorno d’oggi, il supporto medico è molto più ampio di prima, quindi puoi andare quasi allo stesso livello di quelli drogati. Ma questo supporto medico mi spaventa quasi ancora di più del doping. Se hai la possibilità di scegliere tra una piccola dose terapeutica di Epo o 20-30 compresse al giorno per guidare un Tour de France allora puoi pensare facilmente a cosa è più pericoloso. Il ciclismo acquisirebbe un’enorme credibilità se i ciclisti dicessero esattamente cosa stanno mettendo nel loro corpo ogni giorno e a che ora. Ci sarebbe anche più stabilità psicologica. Oggi non vedo quasi nessun professionista sorridere in bici. Ai miei tempi, i miei compagni di squadra a Festina erano forse pieni di doping ma erano felici, raccontavano barzellette tutto il tempo, adoravano quello che facevano. I ragazzi oggi sorridono solo quando vincono. La pressione psicologica è mostruosa».

Nel 1998 provarono a convincerlo a fare uso di doping.

«Prima mi dissero che ero fisicamente il migliore. Ma poi mi sono reso conto che il corpo non è stato creato per così tanto allenamento e ho dovuto lottare con sempre più infortuni. Allora qualcuno mi disse che avrei dovuto aiutarmi un po’ dal punto di vista medico. Stare in bicicletta per 30 ore a settimana non è umano. Il dottore della squadra mi disse che non stavo mangiando abbastanza. Mi mancavano vitamine, sali minerali e proteine. Più tardi i medici sono tornati e mi hanno detto: bene i sali minerali e le vitamine, ma ti mancano anche gli ormoni. E lo noti anche tu, ovviamente. Dopo tre settimane di gare in Europa sono tornato a casa completamente svuotato, dopo altre tre settimane non avevo più la libido. Quando tua moglie ti chiede se la ami ancora inizi ad avere dei dubbi e pensi: cosa ne sarà della mia salute? Qual è la fase successiva?».

Gli furono offerti due contratti, racconta. Uno senza doping e uno con.

«Allora c’erano ancora i franchi, oggi sarebbero stati circa 4.500 euro al mese se non avessi continuato a drogarmi. Se invece lo avessi fatto sarebbero stati 45.000 euro al mese. Per questo avrei dovuto prendere Epo e testosterone».

Quando ancora correva diceva che l’unico modo per affrontare il problema fosse quello di sospendere il ciclismo per cinque anni e iniziare un nuovo ciclo con facce nuove.

«Guarda le persone che commentano questo sport per la televisione. Chi può parlare di sincerità? È tutta ipocrisia».

Persone che non hanno mai voluto ammettere il loro passato continuano a vivere nelle loro bugie e vengono persino pagate per questo.

Racconta di quando la sua squadra lo isolò.

«Nessuno mi parlava».

Gli chiedono se qualcuno gli abbia mai chiesto scusa.

«No, perché? Ho fatto le cose che ho fatto perché non potevo essere accusato di nulla. Quante volte mi hanno fatto arrivare giovani donne fuori da un hotel per farmi tradire mia moglie? Quante volte hanno cercato di farmi fare cose proibite? Sono rimasto fermo, non una volta mi sono piegato. Non voglio le loro scuse».

Fu Lance Armstrong in persona ad affrontarlo.

«Mi chiuse in una stanza, mi mise una mano sulla spalla e mi spiegò in mezzo minuto che non avevo nulla da dividere col ciclismo. Ha detto addio con un “F*ck you!”. Ho avuto difficoltà con il suo inglese, ma l’ho capito (ride)».

Nel 2013 dopo l’ammissione di Armstrong di essersi dopato, i due si sono reincontrati.

«Aveva desiderato quell’incontro. Penso che sia stato un segnale forte: lui, che ha vinto il Tour de France sette volte, è venuto da me, un piccolo insegnante di educazione fisica ed ha chiesto scusa. Gli dissi: “Lance, so che hai detto le cose che mi hai detto non per farmi del male, ma perché eri preoccupato per il tuo benessere».

Dice che volle incontrarlo perché non voleva che Armstrong facesse come Pantani.

«Pensavo che se qualcuno fosse stato improvvisamente così disprezzato nell’ambiente che una volta guidava, avrebbe dovuto affrontare difficoltà psicologiche. Abbiamo avuto questi grandi ciclisti come Pantani, Vandenbroucke che sono stati lasciati cadere, erano soli e sono morti troppo giovani. Volevo fargli capire che poteva trovare la sua felicità anche altrove. Non a caso quando tre anni fa Ullrich stette tanto male, fu Lance Armstrong a prendersi cura di lui. E fino ad oggi continuo a pensare che forse ho contribuito un po’ io a questo».

Conclude:

«Mi interessa il risultato. Armstrong si è preso cura di lui, lo ha aiutato quando ha visto che Ullrich stava male. Dobbiamo fermarci a questo. Armstrong ha fatto molto male, manipolando il ciclismo, sport che amo come pochi altri. Tuttavia, può fare del bene. Perché dovrei condannarlo per questo?».

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