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Capire la complessità e la trasformazione del calcio a un torneo di bambini

Un altro mondo (per fortuna) rispetto ai tempi nostri, costruzione dal basso compresa. Il calcio è diventato uno sport, dove conta capire dove sei, come ti muovi

Capire la complessità e la trasformazione del calcio a un torneo di bambini

Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad un evento calcistico per scuole elementari che si è tenuto, nel corso di una giornata intera, a Berlino. E ho preso qualche appunto sulle impressioni che ne ho tratto circa il calcio, le nostre aspettative, le nostre percezioni e la nostra incipiente vecchiezza di commentatori variamente assortiti.

Appunto 1

La giornata è dedicata ad un torneo calcistico in cui si ritrovano le classi tra il terzo e il sesto anno di scuole europee berlinesi. Berlino ha diverse scuole che sono allineate ai programmi statali tedeschi ed hanno indirizzi culturali provenienti da diverse realtà europee: ci sono scuole russe, inglesi, greche, turche, ebraiche e così via. Mio figlio, che è nato a Berlino ed ha cittadinanza italiana, partecipa con una scuola inglese. Diversi spunti interessanti: 1) in tempi in cui si parla di cultura ancorandola ancora alla lingua e dunque alla nazionalità, questo torneo dimostra che il mondo fortunatamente va da tutt’altra parte, con buona pace dei filosofi televisivi. Che cosa sia la cultura e come si ridefinirà lo sapremo tra trent’anni, visto che tutti questi ragazzi abitano in Germania e parlano tedesco. 2) Il calcio è ancora una potente forza miscelatrice che produce, canalizza e propone cambiamenti e mutazioni. 3) Per i più giovani: scegliete di evadere dalle piccole realtà è infilatevi nelle grandi metropoli, perché la provincia è scarna ed è vostro diritto, oltre che convenienza, emigrare dove ci siano città che, ad esempio, ospitano decine di scuole europee e pubbliche. È assai più divertente, ci si perde meglio e smarrendo le proprie radici ci si aiuta a campare.

Appunto 2

I genitori non sono invitati. Io ho potuto seguire tutto il torneo da lontano, dietro a una balaustra. I ragazzi parlano tra di loro e con il coach senza l’intervento di alcun padre o alcuna madre, zio esperto o zia preoccupata. L’ho trovato un ottimo modo di limitare i danni che solo noi genitori riusciamo a infliggere ai ragazzi – questa non è una novità specifica di questa generazione, sono circa tremila anni che il mondo gira così.

Appunto 3

Al torneo sono ammessi ragazzi e ragazze. Giocano nelle medesime squadre, assieme. Alcuni hanno cambiato sesso già in terza o quarta elementare – se il venerabile Kirill sapesse che anche la scuola Lev Tolstoj partecipa a cotanto caos gender fluid gli piglierebbe un colpo che neanche le sue amicizie nel KGB contribuirebbero a mitigare.

Appunto 4

Le squadre, seppur costituite da ragazzini di otto, nove o dieci anni, sono tatticamente molto preparate. Rispetto ai tornei che organizzavamo il sabato mattina ai tempi delle mie scuole medie napoletane alla Umberto Saba (all’epoca ospitata in un meraviglioso prefabbricato di lamiera, che sono sicuro oggi sia stato ammodernato) c’è un ordine in campo davvero incredibile. Quando giocavamo noi, trentacinque anni fa, c’era un pallone e un nugolo di una decina di ragazzi a seguirlo ovunque esso rotolasse. Qui vedo otto ragazzini disposti geometricamente in campo. I terzini che tengono l’uomo e scendono sui calci d’angolo, che marcano i pali; vedo passaggi filtranti; vedo un attaccante venire incontro e ripartire. Il coach della squadra urla ai difensori di scalare, di fare la diagonale. E tra un tempo di sette minuti e l’altro tira fuori una lavagna magnetica per mostrare come posizionarsi in campo, mentre ordina due sostituzioni durante l’intervallo.

Appunto 5

Le squadre ripartono tutte da dietro, molto frequentemente. Ne capisco il senso: rimettere lungo, su un campo così grande, non è semplice per dei ragazzini, ed il rischio di rilanciarla bassa e regalarla agli avversari, innescandone la controffensiva, è alto. I giocatori tengono palla a terra e si sforzano di uscire dalla trama del pressing contrario. Poi, quando le forze vengono meno, rilanciano. Interessante: non ho visto neanche un gol preso per errore della difesa in questa fase. Ho avuto l’impressione che i ragazzi siano molto allenati a agire in questo modo, anche per sfruttare le nuove regole del gioco. Insomma, Spalletti forse ha calcato la mano sul ruolo del portiere, ma neppure mi fido appieno della sapiente sornioneria di Mr Carlo: il calcio sta mutando e i prossimi calciatori saranno assai più abituati a questo tipo di ripresa del gioco. D’altra parte lo applica anche il Real pluridecorato di quest’anno – con saggio equilibrio, questo è il segreto. Stare in bilico sul filo di un cambiamento così grande non è facile, specie se ti trovi in Serie A di questi tempi, con i calciatori meno tecnici.

Appunto 6

Guardo questi ragazzini e inevitabilmente mi viene alla mente il me stesso decenne o undicenne, i miei amici di quei rari sabati. Era un lusso calcare un osceno campo in terra battuta, qui vedo otto campo regolamentari in erba sintetica perfettamente manutenuti. È cambiato lo spirito e si sono trasformati i desideri. Il calcio non è più un divertimento per il gusto di esserlo, è diventato uno sport, dove conta capire dove sei, come ti muovi, cosa farà il tuo compagno; quando è bene salire tutti per un assalto dell’ultimo minuto e rischiare la linea difensiva; dove è meglio arrischiarsi e dove invece dosare forze ed energie. È salita la complessità di questo gioco e continuare a chiedergli di essere ciò che è stato negli anni settanta o ottanta è inutile, oltre che sciocco. È un attestato, appunto, della nostra vecchiezza – che suona meglio di vecchiaia. Il calcio non spiega più ciò che non vuole spiegare, ma traduce o riflette realtà o bisogni contro cui noi più attempati, in un modo o nell’altro, resistiamo pur fingendo di essere moderni progressisti.

Appunto 7

I ragazzi si sono divertiti molto. C’era la competizione, l’importanza della differenza reti. Sullo smartphone si seguivano i risultati di tutti i campi. C’è chi ha pianto tanto per le sconfitte, perché il gioco è serio. E c’è stato un premio finale al fair play, per la squadra che ha mostrato la maggiore correttezza in campo. Ancora ricordo un sabato di qualche mille novecento ottantaqualcosa, una partita tra compagni di classe. Il papà un po’ sovrappeso di un amico appoggiato al palo di una delle due porte e l’estremo difensore che la salvaguardava urlare che quel chiattone spostava la porta per favorire la squadra avversaria in cui giocava il figlio.

A pensarci rido ancora.

Il tempo è passato. 

Menomale.

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