Il tennista in copertina: «Prima urlavo sempre, poi ho capito. E pensare che non amavo l’erba. Il festival di Sanremo mi ha dato ulteriore notorietà»

Matteo Berrettini in copertina del magazine de L’Equipe. Un’ampia intervista di cui riportiamo qualche estratto.
È vero che odiavi l’erba?
(Sorride.) Proprio così. Ho giocato a Wimbledon da junior nel 2014, mi è piaciuto molto. Ma, durante il mio primo anno su erba nel 2018, ammetto che non mi sentivo a mio agio. Mi sentivo come se non trovassi mai il tempo, il mio ritorno non stava andando abbastanza bene, non mi muovevo correttamente. Poi ho fatto la mia pre-stagione sul campo duro, per la prima volta, ho migliorato diversi aspetti, ho esordito in Coppa Davis contro l’India sull’erba a febbraio e mi è piaciuto molto. Mi sentivo meglio, il mio servizio funzionava con lo slice. In seguito, ho persino iniziato a rimpiangere che la stagione dell’erba fosse così breve!
Berrettini sa che perderà molti punti, uscirà dai primi vinti pure se dovesse vincere il Queen’s e Wimbledon perché l’Atp ha deciso di non assegnare punti a Wimbledon per l’esclusione dei russi decisa dagli organizzatori inglesi.
Non ho apprezzato quella decisione e ancora non lo apprezzo. Non credo sia giusto. Avrebbero dovuto informare i giocatori di quello che stava succedendo. Nessuno ci ha chiamati. (…) È ingiusto sapere di dover uscire dai primi venti. (…) So che sarò in grado di tornare nella top 10 perché l’ho già fatto prima, ma diciamo che mi sento disarmato.
Sembra che la tua fama sia cresciuta nel tuo paese da quando eri al Festival di Sanremo.
Diciamo che la mia vita era cambiata un po’ anche prima grazie a Wimbledon, ma dovete sapere che per noi italiani il festival di Sanremo rappresenta un appuntamento molto importante, diciamo il più grande spettacolo in Italia. Sono cresciuto guardando questo festival. Sono rimasto sul palco per forse quindici minuti, ero molto teso, sudavo tantissimo prima di essere chiamato. Pensavo al numero di persone che mi avrebbero seguito, forse 20 milioni. Sicuramente alcune persone mi hanno scoperto perché non seguono il tennis.
Quando leggiamo i tuoi ritratti, spesso si tratta della tua bellezza fisica. Questo ti infastidisce?
È qualcosa di cui la gente desidera parlare, ma non è quel che definisce l’essenza di chi sono. Mi stai intervistando perché sono un giocatore di tennis e ottengo dei risultati, non per altro. Quando la gente mi dice che sono bello, è piacevole da ascoltare, ma non ho meriti, dovremmo piuttosto ringraziare mia madre! La bellezza può attirare alcuni sponsor, ma non ti fa giocare meglio, altrimenti il numero 1 del mondo sarebbe la persona più bella del mondo.
Questo ha attirato il marchio Hugo Boss, di cui sei l’ambasciatore. Qual è la tua definizione di eleganza?
È un vero impegno da parte mia essere educato e rispettoso durante le partite. Non ho mai litigato con qualcuno in campo, mi irrito molto raramente, beh, non lo mostro, anche se a volte dentro… Preferisco dedicare le mie energie a cercare di vincere il punto successivo piuttosto che rimuginare sul precedente. Quando ero più giovane, non ero così. Urlavo sempre contro me stesso. Il mio allenatore mi chiamava “Radio” perché in campo parlavo sempre. Un giorno mi prese a quattro occhi e mi disse che se avessi continuato a comportarmi così, avrei potuto giocare a tennis ma avrei reso sempre al di sotto delle mie capacità. Così, ho cambiato la mia mentalità. È sicuramente grazie a questa inversione di tendenza che sono qui oggi.
Dice che non c’è una vera e propria scuola italiana, “solo una generazione che si diverte molto a giocare”.
Cosa ti manca per vincere un Grande Slam?
(Sospira.) Difficile da dire. Sono andato a vicino. Nel 2021, ho giocato quarti, semifinali, finali. Ho perso contro i migliori, Novak e Rafa, e loro poi hanno vinto il torneo… (…) Resto convinto di poterli battere. Una questione di dettagli, a volte un po ‘ di fortuna, non mi vedo lontano. Conta anche l’esperienza: loro hanno giocato queste partite decine di volte, io ancora no.