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A Napoli non ci sarà mai un Arrivabene che dice: “Mertens non rientra nel nostro progetto”

Ogni addio è un parto, un teatrino per cercare il traditore e non urtare la suscettibilità della dea napoletanità. Un club ad alta dispersione d’energia

A Napoli non ci sarà mai un Arrivabene che dice: “Mertens non rientra nel nostro progetto”
Db Milano 27/11/2017 - Gran Gala' del Calcio Aic 2017 / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Paulo Dybala-Dries Mertens

Alla Juventus un bel giorno l’ad Maurizio Arrivabene ha detto: “Dybala non ci interessa, non rientra più nel nostro progetto”. Amen. Senza alcuna diatriba sulle cifre, men che mai sui presunti tradimenti. Lo scorso anno, al Milan, una storia simile anche se non proprio uguale. Un giorno Maldini comunicò che con Donnarumma il rapporto sarebbe finito, non ci sarebbe stato alcun rinnovo. Più o meno nelle aziende funziona così. Si prendono decisioni di cui ci si assume la responsabilità. Si traccia una strada e la si percorre. Poi, si vedranno i risultati. E viene presa la decisione ritenuta la migliore ai fini del raggiungimento dell’obiettivo.

Nel Napoli invece no. È uno dei club a più alto livello di dispersione energetica. Nel Napoli è più importante “uscirsene puliti”, “fare bella figura”, “non farsi dire niente dai vicini”. Nel Napoli non si traccia quasi mai una linea e si dice: “ok, questa è la direzione. Non piace alla maggioranza dei tifosi? Pazienza”.

No. A Napoli ogni addio è un calvario, un parto interminabile. Un gioco delle parti. Perché l’obiettivo principale è essere approvati dalla dea “napoletanità” protagonista assoluta di una religione integralista che ha completamente rimbecillito la città. Mertens interessa o no al Napoli? Non è dato sapere. Parrebbe di no – e noi saremmo d’accordissimo – ma qui non arriva mai un Arrivabene a parlare chiaro. No, qui comincia un gioco di sponde, di rimpalli, di vil moneta, che ha come fine la dimostrazione che il calciatore che lascia (in questo caso Mertens) ha tradito la causa: o per soldi, o per poco amore nei confronti della divinità Napoli. In questo caso c’è un elemento in più: il nome del figlio del calciatore. Prova regina dell’attaccamento del belga a Partenope.

Diamo un nome alle cose: è un teatrino da idioti. Eppure la scena che si ripete è sempre la stessa. Sembra di stare perennemente su Scherzi a parte. A Napoli tutti, a partire dal presidente, fanno finta di non sapere che esistono il professionismo, le ambizioni, il desiderio di guadagnare di più. E ovviamente in un simile contesto si perde di vista la strategia aziendale: il Napoli a Mertens lo vuole sì o no? Una società seria, dal nostro punto di vista, se ne sarebbe sbarazzata tre anni fa, all’indomani dell’ammutinamento. Invece De Laurentiis quell’ammutinamento lo ha subito, si è piegato ai calciatori. E anche adesso che ha aperto gli occhi (gli eventi madridisti sono stati calcisticamente dolorosi per lui), non conduce il repulisti alla luce del sole. No, sempre seguendo il filone della sceneggiata. Non dimentichiamo che se Insigne avesse accettato i tre milioni offerti dal Napoli, ora sarebbe ancora qui. Altro che rinnovamento. Avremmo giocato con gli stessi fino all’età della pensione.

Non ci facciamo troppe illusioni. Abbiamo capito che De Laurentiis e il decisionismo sono come l’acqua e l’olio. Noi continuiamo a sognare un Napoli di calciatori allergici ai latticini e con una innata ritrosia nei confronti della pizza. Con i figli dal nome Eusebio, Ambrogio, Diletta. Perché una squadra di calcio dev’essere competitiva, magari provare a vincere, non obbedire ai presunti principi della dea napoletanità. Fino a prova contraria non saremmo ancora una tribù.

Al fondo non riusciamo a capire se tutto questo can can sia più triste o più ridicolo. Il Napoli avrebbe dovuto voltare pagina già tanto tempo fa. Non lo ha fatto e ha perso anni fondamentali. Dovrebbe farlo con un processo condotto alla luce del sole. Gli stessi risultati, raggiunti col teatrino, hanno un sapore diverso. Ma bisogna saper accontentarsi. Aria nuova, purché sia.

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