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«Voglio tornare a fare le imitazioni», la mutazione “pucciosa” di Djokovic per vincere e farsi amare

Intanto a Roma ha vinto la sua partita numero 1001: come lui solo Federer, Nadal, Lendl e Connors. A Parigi la sfida è con Alcaraz

«Voglio tornare a fare le imitazioni», la mutazione “pucciosa” di Djokovic per vincere e farsi amare
Roma 12/05/2022 - Internazionali BNL d'Italia / foto Imago/Image Sport nella foto: Novak Djokovic ONLY ITALY

“Forse dovrei ricominciare a fare le imitazioni”. La seconda vita di Novak Djokovic ha preso una forma più dolce, nell’apparenza. Non si sa se mediata da una “politica” comunicativa studiata a tavolino dopo l’autodistruzione controllata della squalifica australiana, perché col serbo non si sa mai. Quello è uno che si ricarica come i moderni motori elettrici: incamera l’altrui negatività, la ricicla, e la usa per vincere. Ha fatto il pieno per due anni di pandemia, passati ad abbracciare gli alberi invece che a vaccinarsi, a bere acqua e argento, verdure e spirulina. Il Covid l’ha lasciato in pace per sconforto. Ha ricominciato a vincere a Roma.

In conferenza stampa ha rielaborato queste centinaia di giornate di lutto sportivo, con quella mezza battuta: fare il simpaticone non l’ha reso, col tempo, meno antipatico, ma smettere aveva aggravato la situazione. Invece, mentre tutti c’eravamo disegnati la sua traiettoria discendente, il declino incombente e bla bla bla, eccolo lì che vince la sua partita numero 1001, sul Centrale del Foro Italico.

1001, una sequenza binaria e palindroma. Con lui o sei 0 o sei 1, o stai dalla sua parte o dall’altra, in ogni caso funziona in entrambe le direzioni: vince.

Traditi dalle polemiche collaterali, dalle scempiaggini di questi due anni, c’eravamo un po’ dimenticati che Djokovic nella vita questo fa: domina. E’ il quinto tennista ad aver vinto più di mille partite, dopo Jimmy Connors, Ivan Lendl, Roger Federer e Rafa Nadal. L’Equipe s’è divertita a snocciolare un po’ di statistiche, abbastanza avvilenti per gli altri: mille (e una) vittorie per 203 sconfitte. Un rapporto dell’83.1%, inferiori solo a quelli di Federer  e Connors. Con 20 titoli e  11 finali perse, Djokovic negli Slam ha vinto 323 partite e ne ha perse solo 46 sconfitte. Se le percentuali possono dare il segno della sua grandezza agonistica, ha vinto l’87.5% delle più importanti partite della carriera. Nel tennis esiste il “braccino”, un concetto che si traspone benissimo nella vita di chiunque. Nel suo tennis il “braccino” non esiste.

Lo scarto tra l’analisi della sua vittoria a Roma e questa sua mutazione “pucciosa”, è forse il punto di rottura della storia. Il resto – lui che vince, sorride, fa il guascone, ringrazia – è repertorio. In campo è sempre quello che assorbe il tifo contrario, alza il pollice rosicando e poi alza il livello, mai troppo in alto, appena una spanna sopra quello dell’avversario. La novità è l’empatia. “Dovrei tornare a fare le imitazioni” per dirsi nostalgicamente di nuovo giovane, un po’ cazzone, sicuramente più accettato. Dopo una carriera da terzo incomodo, tra Roger e Rafa. Nadal, Federer e Djokovic: il buono, il bello e il cattivo.

Tanto lì fuori è sempre il numero uno. Ha già lavorato ai fianchi del rivale del momento, quell’Alcaraz che l’ha battuto a Madrid e che a Roma non c’è andato per preparare il Roland Garros. “Attualmente è il migliore al mondo”, ha detto Nole per blandire la fanciullezza dello spagnolo. Ha già segnato un paio di 15 a suo favore, l’altro manco lo sa. Sui cinque set è una sfida inesplorata. Magari, dopo averlo battuto, gli farà l’imitazione.

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