ilNapolista

Thuram: «Il calcio è politica, poche cose arrivano a così tanta gente. Ho avuto paura vincesse Le Pen»

Al Foglio. «Fare l’allenatore non fa per me, la mia missione è l’educazione contro il razzismo. Il razzismo non è una fatalità, è una costruzione ideologica»

Thuram: «Il calcio è politica, poche cose arrivano a così tanta gente. Ho avuto paura vincesse Le Pen»
Gc Parigi (Francia) 26/03/2008 - amichevole / Francia-Inghilterra / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: Liliam Thuram

È stato uno dei difensori più forti e vincenti di sempre con la Francia, con la Juventus, col Parma e col Barcellona. Osservandolo bene, però, scrive il Foglio, s’ha l’impressione di avere davanti un professore universitario o un designer affermato. Per il suo charme, per il suo stile. Parla un italiano perfetto. Lo intervistano, a margine di un incontro previsto nel programma della decima edizione di Eventi Letterari Ascona Monte Verità.

Se ci si riferisce al suo passato calcistico, mette in chiaro che «tutto quel mondo lì è oramai lontano». Il calcio non lo interessa più, almeno da protagonista. Certo, i suoi due figli sono calciatori professionisti. Ma lui sta abbastanza alla larga. Esperienze da allenatore o da direttore sportivo «non fanno per lui», chiarisce al Foglio.

«Sì, perché ho deciso di dedicarmi ad altro. Alla Fondazione che porta il mio nome per l’educazione contro il razzismo. È diventata la mia missione per provare a costruire un mondo migliore. Bisogna fare attenzione, però, perché anche il calcio è politica. Sono davvero poche le cose capaci di arrivare a così tanta gente riuscendo a smuovere le coscienze. Questo sport riesce comunque a farci capire che siamo tutti uniti per raggiungere un obiettivo comune, un modo di vivere semplice, rispettoso e conviviale in cui ognuno di noi possa sentirsi portato a collaborare. Quando si vive di calcio e si ama il calcio, ti rendi conto che siamo tutti uguali, sia in campo che fuori. Siamo nella squadra degli esseri umani e dobbiamo difenderla»

La sua infanzia…

«Non avevamo una figura paterna di riferimento, siamo rimasti senza nostra madre per un anno, poi è tornata a prenderci e ci ha portati a Parigi. È lì che c’è stato il vero choc, perché ho scoperto la mia diversità. Avevo 9 anni e da un momento all’altro scoprii di essere nero. Vivevamo a Bois Colombes, in periferia, e quando gli altri bambini mi dicevano ‘sporco nero’, non capivo cosa stesse succedendo. Non riuscivo a comprendere la violenza di quelle parole e fu per questo che chiesi spiegazione a mia madre che mi rispose che la gente è razzista e che le cose non possono cambiare’. Mi stava dicendo, dunque, che i bianchi erano razzisti e che non c’era nulla da fare. A distanza di anni, capii che quel suo modo di pensare era uno sbaglio, perché con quelle parole affermava che il razzismo è una fatalità, che è così, e che non puoi far niente. Mi bastò poco per capire che avrei dovuto svegliarmi, che avrei dovuto reagire»

La sua nuova professione la coltiva ogni giorno – si legge sul Foglio – studiando, leggendo, partecipando a eventi, interfacciandosi con le scuole e scrivendo.

«La maggior parte dei bianchi  preferisce non affrontare i milioni di morti causati dalle violenze del mondo occidentale. I neri sanno di essere neri, mentre i bianchi preferiscono pensare a sé stessi come ‘normali’, perché la normalità, tuttora, è bianca. Ho incontrato persone e letto tanti libri che mi hanno insegnato che il razzismo è una costruzione ideologica, che è diventato una cosa culturale che funziona perché c’è un gioco di potere a cui nessuno vuole rinunciare. Ho provato a spiegarlo e mi hanno detto che sono io il razzista, figuriamoci! Mi dicono che è meglio adesso che prima e che devo essere felice e contento. In realtà, la violenza nasce sempre da una minoranza di persone che ha costruito questa volontà, basti pensare a quanto fatto da Putin, davvero inaccettabile. In realtà, ognuno di noi è legato a pregiudizi e dobbiamo capire che dobbiamo cambiare. Come molti ho avuto paura che vincesse Le Pen, ma meno male che non è stato così. Abbiamo evitato un invito ulteriore alla violenza, fisica o verbale che sia. Siamo salvi, almeno per ora»

ilnapolista © riproduzione riservata