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Calori, eroe di Perugia-Juve del 2000: «Gaucci minacciò di portarci in Cina se non avessimo vinto» 

Intervista al CorSera: «Diventai l’idolo degli anti juventini. Da molti la pioggia e il gol furono interpretati come la vittoria del calcio pulito»

Calori, eroe di Perugia-Juve del 2000: «Gaucci minacciò di portarci in Cina se non avessimo vinto» 

Il Corriere della Sera intervista Alessandro Calori, l’eroe di Perugia del 2000. Fu lui a punire la Juventus di Ancelotti all’ultima giornata di campionato, regalando la vittoria dello scudetto alla Lazio allenata da Eriksson e in cui giocava l’attuale allenatore dell’Inter, Simone Inzaghi. Fu la partita del diluvio, interrotta dall’arbitro Collina e poi ripresa dopo un’ora. Con una fine imprevista che fa parte della meraviglia del calcio. Inzaghi ha ricordato l’episodio in conferenza stampa, qualche giorno fa. Ieri ne ha parlato anche Eriksson. Calori racconta:

«Era la Juve dei fenomeni: Zidane, Del Piero, Inzaghi, Conte, Davids. Nel primo tempo falliscono tanti gol, andiamo al riposo sullo 0-0. Noi tranquilli e già salvi, a loro sale l’emotività. Poi viene giù il diluvio, si allaga tutto. Collina non sa che fare, chiama i superiori, aspetta. Erano anni di feroci polemiche arbitrali, non si poteva sospendere. Mazzone non aveva fatto discorsoni alla vigilia, il presidente Gaucci minacciò di portarci in tournée in Cina se non avessimo vinto. Collina decide: si gioca, ripartiamo».

Al quinto minuto della ripresa, Calori cambiò la storia scudetto.

«Dissero che ero stato fortunato, che avevo colpito la palla male, incolparono Van Der Sar. Ma sulla respinta della difesa stoppai di petto e infilai all’angolino: feci un gran gol, altroché tiro ciabattato».

Diventò l’idolo degli anti-juventini.

«L’Italia è divisa in due: gli juventini e gli anti juventini. Diventai l’idolo di una parte del Paese. La pioggia e il gol furono interpretati come la vittoria del calcio pulito da molti, non da me: avevo fatto solo il professionista. Da piccolo tifavo Juve, in realtà ancora oggi, la fede non si cambia. Non cambiò neanche la mia carriera. Avevo già 34 anni e 300 partite in serie A. In estate lasciai Perugia, seguii Mazzone a Brescia: arrivarono Baggio, Guardiola, poi Pirlo. Credo che i tifosi della Juve non ce l’abbiano con me».

Come fu il dopo gara?

«Finito il diluvio iniziò una tempesta mediatica. Non riuscivo più a uscire dallo stadio, andai via non so dopo quante interviste. Era successo qualcosa di storico, si percepiva. Era stata una settimana folle, mai viste tante tv a Perugia».

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