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Spalletti ha dovuto fare gli equilibrismi col Napoli (ma non sempre possono riuscire)

Ha lavorato con una rosa non omogenea e ha raggiunto la Champions. Ora serve una squadra da costruire e non da assemblare

Spalletti ha dovuto fare gli equilibrismi col Napoli (ma non sempre possono riuscire)
Napoli 18/04/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Roma / foto Image Sport nella foto: Victor Osimhen-Chris Smalling

Gli equilibrismi di Spalletti

Alla fine, per come si era messa la partita, il pareggio colto dal Napoli contro la Roma è un risultato da accogliere senza fare troppe storie. Se la squadra di Mourinho avesse vinto al Maradona, infatti, avrebbe accorciato a -6 dalla squadra di Spalletti. Con cinque partite da giocare, invece, gli azzurri mantengono il +9 quinto posto e quindi possono dirsi praticamente certi di aver centrato la qualificazione alla prossima Champions League. Difficile chiedere o anche solo pensare a qualcosa in più, cioè allo scudetto, visto il boccheggiare del Napoli nel secondo tempo della partita contro la Roma. Che, ricordiamolo, quattro giorni fa ha anche giocato (e vinto) in Conference League. Mentre Spalletti e i suoi uomini preparano questa gara da otto giorni.

Ecco, soprattutto quest’ultimo punto deve far riflettere: il Napoli, ormai da settimane, manifesta una preoccupante carenza di condizione fisica. Gli infortuni – tema sollevato da Massimiliano Gallo nel suo commento a caldo dopo la partita contro la Roma – hanno avuto e hanno il loro peso, e anche questo è una porzione del tutto su cui soffermarsi. Nell’ambito di questa rubrica, che prova ad analizzare le partite partendo dai numeri e delle evidenze tattiche, ciò che vogliamo evidenziare è il fatto che Spalletti, per gestire e compensare tutti questi problemi, abbia dovuto muoversi come un equilibrista, o anche come un piccolo chimico. Ha dovuto cioè dosare e mischiare fin troppo. Fino al punto di perdere grip mentale e quindi efficacia, soprattutto nelle ultime. Il tecnico toscano ha potuto e saputo risolvere gli equivoci della rosa fino a un certo punto. Dopo, cioè ora, non ha potuto più nulla.

Il ritorno del 4-3-3 puro

Ma cosa intendiamo per equilibrismi? Per dosaremischiare? Napoli-Roma, in questo senso, è un saggio breve sulla condizione dell’anima e della mente di Spalletti. Che, dopo la sconfitta contro la Fiorentina, ha recuperato Anguissa ma non Di Lorenzo, e ha optato per il ritorno al 4-3-3 puro con Lobotka pivote, Fabián Ruiz e Anguissa mezzali; in avanti, Lozano, Insigne e Osimhen.

Queste scelte – di formazione e quindi tattiche – piuttosto ibride si sono tradotte, sul campo, in un atteggiamento a sua volta ibrido: gestione della palla ragionata in difesa, con Anguissa e Fabián Ruiz a fungere da scarico privilegiato per linee interne (dati del primo tempo: 45 palloni giocati per lo spagnolo, 43 per il camerunese e solo 28 per Lobotka); immediata ricerca dell’apertura sulle fasce, soprattutto a sinistra, per cercare di sfruttare il due contro uno determinato dalla sfida tra il 4-3-3 del Napoli e il 3-5-2/5-3-2 della Roma; e poi, soprattutto, una ricerca piuttosto frequente della verticalità, specialmente a innescare Lozano dietro le spalle di Zalewski e Ibañez. Il fatto che il Napoli abbia creato il gol (rigore) del vantaggio proprio sfruttando questa situazione non è stato casuale.

In alto, lo schieramento 4-1-2 del Napoli in fase di costruzione, con Lobotka vertice basso del triangolo di centrocampo; sopra, un’azione nata da un veloce cambio di gioco con Zanoli e Lozano che possono affondare contro un solo difensore avversario – Zalewski, quinto di centrocampo della Roma.

Il Napoli visto durante il primo tempo della gara con la Roma è stata una squadra non brillantissima ma efficace. Aveva un piano partita, l’ha attuato l’ha e rispettato. Ha trovato meritatamente il gol col suo gioco verticale e poi ha gestito il vantaggio in maniera sapiente, tranquilla, senza rischiare nulla. Le cifre relative ai primi 45′ di gioco, in questo senso, sono piuttosto chiare: fino al gol di Insigne, era stata la Roma a tenere di più il pallone, addirittura per il 60% del tempo; poi il dato si è esattamente ribaltato, e infatti all’intervallo il dato grezzo del possesso era nettamente favorevole (59%) alla squadra di Spalletti; la Roma è riuscita a tirare solo 2 volte verso la porta di Meret, la prima al 39esimo su azione d’angolo (con Cristante) e la seconda con Zalewski, al minuto 42′.

Aggressività e forza fisica

Nel primo tempo, l’ottima prestazione tattica – e anche tecnica – del Napoli va fatta risalire alla capacità, da parte dei giocatori di Spalletti, di difendere accorciando e restringendo il campo. Di aggredire l’avversario, accettando anche situazioni teoricamente sconvenienti – per esempio le ripartenze di Zaniolo e/o Abraham su campo lungo. I dati posizionali, in questo senso, parlano chiaramente: nel primo tempo, gli azzurri sono riusciti a rimanere stretti e compatti nel loro 4-5-1 difensivo, mandando una delle due mezzali a supportare Osimhen nel pressing sulla costruzione bassa della Roma e accorciando immediatamente sugli esterni, con gli esterni, dopo lo scarico da parte del primo portatore di palla giallorosso. È così che la squadra di Mourinho è stata praticamente soffocata, non è riuscita praticamente a esprimersi. Se non su sporadiche ripartenze in campo lungo.

In alto, i dati del baricentro riferiti al primo tempo; sopra, il Napoli che si difende tenendo le linee alte, con Anguissa a supporto di Osimnhen (fuori inquadratura) nel pressing sui centrali avversari

In fase offensiva, il Napoli ha trovato delle buone trame grazie ai meccanismi che abbiamo già citato, ma anche per merito di Insigne, mai come in questo caso mobile verso il centro del campo, bravo a occupare i cosiddetti halfspace o spazi di mezzo, vale a dire quelle zone di campo che, nel 3-5-2 iniziale della Roma, si trovava esattamente in mezzo tra Sérgio Oliveira, Mancini e Karsdorp. Dall’altra parte, invece, Lozano dava molta più ampiezza e cercava di attaccare gli spazi in verticale, giovandosi anche di un supporto più fisico e meno tecnico da parte del terzino di parte, parliamo ovviamente di Zanoli.

In alto, tutti i palloni giocati da Hirving Lozano nel primo tempo di Napoli-Roma; sopra, quelli giocati da Insigne. In entrambi i campetti, il Napoli attacca da sinistra verso destra.

Questo tipo di aggressività e di proposta verticale, con il passare dei minuti, si è tramutata in una tendenza a manovrare in maniera ragionata. Senza, però, compromettere o inficiare la tendenza ad accorciare il campo in fase passiva. Insomma, Spalletti ha saputo fare buona opera di equilibrismo ed equilibrismi nel primo tempo, aiutato anche dalla condizione fisica – non brillantissima, ma decisamente buona –  dei suoi calciatori. Va detto, però, che anche le scelte iniziali di Mourinho hanno agevolato un po’ il Napoli: il tecnico portoghese ha disegnato un 3-5-2/5-3-2 fin troppo rigido e difensivo, con un doble pivote puro (composto da Sérgio Oliveira e Cristante) e il solo Pellegrini a cercare di connettere la squadra in fase offensiva. Con questi uomini, era praticamente impossibile risalire il campo con un minimo di inventiva, nel primo tempo la palla viaggiava in maniera elementare, solo ed esclusivamente su direttrici esterne e verticali.

Il cambio decisivo di Mourinho

È proprio su quest’ultimo aspetto che Mourinho, intervenendo nell’intervallo, è stato decisivo: il cambio Mkhitaryan-Cristante ha dato alla Roma un riferimento in più da cui passare per risalire il campo. A Mourinho è bastato invertire il triangolo di centrocampo per prendersi il possesso del pallone e quindi della partita. Anche in questo caso i numeri aiutano a comprendere: con l’armeno in campo a galleggiare tra le linee, il Napoli non aveva più il solo Pellegrini da tenere d’occhio. A quel punto, la sicurezza di avere tre difensori centrali e un mediano – Sérgio Oliveira – ha permesso alla Roma, attraverso i due nuovi entrati, di esplorare molto più campo. Così i giocatori di Mourinho hanno iniziato a lanciarsi – e a farsi trovare – in diverse zone del campo. Insomma, per dirla con un solo concetto: è bastato un cambio, alla Roma, per iniziare a giocare in maniera più varia.

Nella prima immagine in alto, il nuovo centrocampo 1-2 della Roma nella ripresa, con Sérgio Oliveira che agisce dietro Mkhitaryan e Pellegrini; nella seconda e nella terza immagine, rispettivamente, tutti i palloni giocati da Pellegrini e da Mkhitaryan nella ripresa: cosa vuol dire connettere i reparti di una squadra giocando tra le linee.

In realtà il Napoli aveva anche assorbito bene il cambio tattico e di atteggiamento della Roma. Poi, però, è arrivato l’infortunio di Lobotka, un evento che ha compromesso l’intero sistema della squadra di Spalletti. Cominciamo con un dato, tanto per comprendere e far comprendere cos’è successo dopo il minuto 57′: fino a quando il centrocampista slovacco è stato in campo, il dato grezzo del possesso palla, relativo solo alla ripresa, era praticamente in parità (51% Napoli, 49% Roma); dopo, vale a dire nei 40′ di gioco successivi, è stato favorevole alla Roma con percentuali bulgare (61%). Lo stesso Spalletti l’ha confessato in maniera candida nel postpartita: «Senza Lobotka, il pallone non ha più girato come prima».

Come abbiamo visto, però, non è che Lobotka avesse toccato tutti questi palloni, nella prima frazione di gioco. Contro la Roma, il suo compito era muovere il suo corpo, più che la sfera, così da attirare il pressing della squadra di Mourinho e liberare i corridoi in cui trovare Insigne, Fabián Anguissa, oppure porzioni di campo in cui far sgroppare Mário Rui, Zanoli, Lozano. Fino ad arrivare a Osimhen. Era andata così anche nella prima parte della ripresa. Lo spostamento di Fabián e poi di un altro calciatore subentrato, Demme, nella posizione di Lobotka, ha progressivamente abbassato la qualità in quel tipo di letture posizionali, prima ancora che tecniche.

Più che sul dato relativo al baricentro, concentratevi su quelli che riguardano lunghezza e larghezza media della squadra di Spalletti

Anche perché, e qui veniamo a dama con un altro concetto già espresso, la condizione fisica del Napoli e – soprattutto – di alcuni suoi calciatori, Fabián Ruiz e Zielinski su tutti, è a dir poco deficitaria. A quel punto, quando mancava ancora mezz’ora alla fine, la squadra di Spalletti era già retrocessa sul campo, ma soprattutto si era allargata e allungata. Si vede chiaramente nello screen appena sopra. L’unico obiettivo tattico rimasto, a quel punto, era buttare letteralmente il pallone in avanti sperando in Osimhen. I dati supportano queste letture: nella ripresa, la squadra di Spalletti ha tentato un lancio lungo ogni 6,1 passaggi; nel primo tempo, il lancio lungo è stato tentato dopo 9 passaggi di media.

Un pareggio elementare, ma meritato

A quel punto, per pareggiare la partita, Mourinho non ha dovuto fare altro che inserire giocatori più offensivi (El Shaarawy per Zalewski, Carles Pérez per Mancini) e/o più tecnici (Veretout per Sérgio Oliveira) al posto di quelli schierati dal primo minuto. È bastato riempire la metà campo del Napoli, una squadra che non faceva altro che risputare il pallone verso l’area avversaria, per riuscirci. Il fatto che Spalletti, alcuni minuti prima, fosse passato (anche lui) alla difesa a cinque in fase passiva per provare a passare indenne il finale di gara, è un segnale eloquente di resa/coscienza rispetto alla condizione del Napoli. Al fatto che la Roma meritasse il pareggio. L’azione del gol di El Shaarawy, elementare nella sua bellezza/efficacia, chiarisce che i cambiamenti del tecnico azzurro non sono bastati. Non potevano bastare.

Tutto molto facile, ma anche bello

Anche perché, ripensandoci bene, il Napoli si era già snaturato due o tre volte nel corso di questa partita, al di là di una condizione atletica prossima allo zero. L’uscita dal campo di Lobotka, come detto, non ha portato all’ingresso di un giocatore in grado capace di ereditarne compiti e funzioni. E lo stesso discorso vale per chi è entrato al posto di Lozano (Elmas) e di Osimhen (Mertens). Riflettiamo soprattutto sull’ultimo cambio: a quel punto della gara il Napoli era condannato a cercare di risalire il campo solo attraverso i lanci lunghi, eppure Spalletti ha dovuto inserire Mertens, ovvero una riserva di Osimhen che in realtà è un giocatore completamente diverso rispetto al centravanti nigeriano. Questa differenza ha finito per togliere al Napoli un’arma tattica, oltre che offensiva, e ha reso ancora più difficili gli ultimi minuti di gioco.

Non tutti possono fare gli equilibristi, non tutti sanno farlo. E anche chi ha tutte le potenzialità per riuscirci, come per esempio Spalletti, può cadere in errore. Oppure, più semplicemente, può finire per essere battuto dal caso, dalle contingenze, dagli eventi avversi. Nel caso di Napoli-Roma, trattasi di una condizione fisica in caduta libera, di un avversario solido ed emotivamente carico, di un infortunio che ha compromesso il piano preparato ad hoc per la partita in questione. Che l’ha stravolto, ma non sempre gli stravolgimenti riescono bene.

Conclusioni

E allora, almeno secondo il parere di chi scrive, bisogna risalire un po’ la piramide dei meriti e delle colpe. L’organico del Napoli resta il più vasto e forse anche il più valido dell’intera Serie A, ma il fatto che ci siano giocatori così diversi tra loro negli stessi slot (Osimhen-Mertens, Lozano-Politano, Insigne-Elmas, Lobotka-Demme, e così via) rende difficilissima la vita a qualsiasi allenatore. Lo stesso Spalletti, che a inizio stagione ha dimostrato di saper essere l’allenatore liquido che serve a questo organico, ha finito per sbagliare diverse scelte. Ha le sue colpe, ma è come se fosse stato indotto all’errore dall’impossibilità di fare dei cambi che mantenessero inalterato il piano partita della sua squadra. Serviva proprio questo, contro la Roma.

Il problema vero è che il Napoli è arrivato scarico, soprattutto dal punto di vista fisico e quindi mentale, a questo finale di stagione. Una condizione che rende molto più difficile cambiare continuamente pelle e atteggiamento. In certi casi sarebbe più giusto – perché più sicuro – affidarsi a dei meccanismi tattici consolidati. Solo che per coltivarli bisogna avere dei giocatori che possano sovrapporsi, sostituirsi tra loro. Oppure che non crollino dal punto di vista atletico, come è successo nelle ultime settimane.

Sono esattamente questi i punti su cui deve lavorare il Napoli in vista della prossima stagione. Prima sul mercato, cioè attraverso una campagna acquisti/cessioni intelligente e coerente. Che costruisca, non assembli una squadra. E poi sul campo d’allenamento. Le premesse, a cominciare da una qualificazione in Champions League ormai in ghiaccio, e anche meritata, ci sono tutte.

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