Lise Klaveness insiste: «I riflettori dei Mondiali possono essere efficaci per il progresso, bisogna sfruttarli»
Al Guardian. «Dal Qatar cercano di informarci, cercano di mostrarci quanti cambiamenti hanno fatto, noi vogliamo crederci. Ma è nostro compito spingerci oltre»

Davanti ad Infantino ad Hassan al-Thawadi e più di 250 altri pezzi grossi – quasi tutti maschi – del calcio ha detto che «bisogna fare di più». Di più per aiutare i lavoratori migranti in Qatar, di più per proteggere le comunità Lgbt, di più per il calcio femminile. È stato un attacco frontale alla Fifa. Ovviamente parliamo di Lise Klaveness, la presidente della Federcalcio norvegese.
Il Guardian, nell’edizione online, scrive che le è stato detto subito che le sue osservazioni «non erano calcistiche». L’ha fatto l’oratore che l’ha seguita. Al-Thawadi, poi, le ha suggerito che doveva “informarsi” meglio sui progressi compiuti in Qatar. Ma la Klaveness va avanti, non ha paura.
«Al-Thawadi l’abbiamo incontrato, ci siamo chiariti, abbiamo avuto un buon incontro», dice al Guardian. «Cercano di informarci, cercano di mostrarci quanti cambiamenti hanno fatto, noi vogliamo crederci. Ma è nostro compito spingerci oltre. La nostra federazione chiede di dare seguito. Come? Con l’abbandono del sistema della kafala, con una retribuzione minima, con atti concreti volti a proteggere i lavoratori migranti dallo stress del caldo, dandogli una pausa durante la giornata. Da Amnesty, da Building and Wood Workers’ International, da molte organizzazioni, sappiamo che questo sistema di tutele può ancora essere migliorato. Ora è nostro compito spingere di più perché i riflettori dei Mondiali possono essere efficaci e dobbiamo usarli»
La Norvegia – continua il giornale anglosassone – è stata forse la più schietta di tutte le nazioni calcistiche riguardo alle preoccupazioni sull’ospitare la Coppa del Mondo in Qatar. E però ha scelto di non boicottare: il Paese non è così radicale nelle sue ambizioni come lo dipingono alcuni dei suoi critici (o sostenitori) .
«Ovviamente abbiamo una responsabilità etica», dice la Klaveness, «ma penso che il più grande punto di forza del calcio sia che può essere giocato ovunque da chiunque»