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E se il Napoli giocasse col 4-4-2?

Il punto di vista di Francesco Esposito. Sarebbe il modo miglior per far convivere Mertens e Osimhen i due calciatori che segnano di più

E se il Napoli giocasse col 4-4-2?
Napoli 17/10/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Torino / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: esultanza gol Victor Osimhen

Se a Napoli parli di quattro-quattro-due rischi un processo per direttissima dall’Alto Tribunale dell’Inquisizione Sarrita. Si leva un (quasi) unanime coro denigratorio con le accuse di tradimento ai sacri ideali della bellezza e di Ancelottismo latente. È un assunto che si basa sull’inscalfibile ed inossidabile certezza che il Napoli sia costruito per il quattro-tre-tre. Sempre, comunque e a prescindere. È un modulo che da queste parti è considerato quale panacea di tutti i mali. Anche se è cambiato tutto: epoca, allenatori, calciatori. È per forza così, è cosi e basta.

Eppure probabilmente è proprio di quattro-quattro-due che oggi bisognerebbe parlare. E innanzitutto per ragioni strettamente numeriche. L’assunto è logico-deduttivo: bisogna far giocare i calciatori forti, i calciatori forti sono quelli che ti fanno vincere le partite, le partite si vincono coi gol. Pertanto, con Osimhen che quest’anno segna un gol ogni 116 minuti e con Mertens che ne segna uno ogni 139. Devono giocare, entrambi. Anche perché i loro «competitors» – se così possiamo chiamarli – da questi numeri sono lontani anni luce. Insigne, esclusi i rigori, ha la media di un gol ogni 1106 minuti; per Lozano siamo a un gol ogni 325 minuti, peggio ancora Politano: un gol ogni 448 minuti. E ci si ferma qui solo perché gli altri di mestiere (almeno di base) non fanno proprio gli attaccanti. E perché partecipare al tiro al bersaglio su Zielinski può sembrare addirittura inelegante: è come sparare sulla croce rossa.

I numeri però raccontano una parte del calcio. Se danno delle indicazioni chiare non si può fare a meno di recepirle – almeno a opinione di chi scrive – ma ai numeri non ci si può fermare. Mai. La tesi, dunque, non può essere supportata solo dai numeri. Sarebbe banale. La tesi va supportata anche con ragioni di campo. Ebbene, Osimhen a Firenze ha fatto un gol e un assist. Ha ricavato il massimo possibile da meno di trenta palloni toccati. È evidente che un centravanti con le sue caratteristiche non possa stare novanta minuti a fare a botte coi difensori centrali senza neanche uno scarico che-sia-uno, col calciatore più vicino distante 30 metri. Con Insigne sulla linea di centrocampo sotto i distinti e Politano sulla linea di centrocampo sotto le tribune. E con Zielinski che latita. È una cosa che proprio non va. Quando riceve il contributo di calciatori più portati a supportarlo, naturalmente più propensi nell’attaccare gli spazi (e quindi Mertens, ma anche Lozano ed Elmas) anche il suo rendimento (già positivo) si alza notevolmente. «Giocare per Osimhen» vuol dire pure questo. E se hai un calciatore che da solo pare in condizione di spostare gli equilibri, devi farlo. Devi cucirgli il vestito addosso. L’ha fatto Conte con Lukaku l’anno scorso, deve farlo Spalletti con Osimhen adesso.

E se c’è un motivo che può valere il rinnovo di Mertens, semmai, è proprio questo. Non il nome di suo figlio, non il suo innegabile legame con la città. Piuttosto, la costruzione di un vestito tattico diverso, che gli restituisca una certa centralità nonostante la sua non più giovanissima età. Dargli i soldi che chiede, negli altri casi, è controproducente. Sarebbe solo una riserva e non avrebbe alcun senso.

Quattro-quattro-due, dunque. Magari atipico, con geometrie variabili a seconda della fase della partita. Sfruttando la versatilità di calciatori come Elmas, che possono tranquillamente avvicendarsi da una posizione all’altra. Osando il tentativo di far coesistere Mertens e Osimhen senza perdere equilibrio. Può essere una sfida (la sfida) di questo finale di stagione e non solo. Visto che per lo scudetto non è è finita. Ma anche perché il mondo non finisce a maggio. E anzi: forse proprio perché da maggio, a cominciare dall’addio di Insigne, delle cose sono destinate a cambiare.

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