Zangrillo: «Qualcuno mi ha dato del coglione ma questo incarico è la chiusura di un cerchio esistenzial-sentimentale»

Il nuovo patron del Genoa al Corsport. «Col Torino la partita della vita, mi cago sotto. In Lega non bisogna aver paura di tentare qualcosa di nuovo»

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An Milano 18/02/2013 - conferenza stampa Pdl Popolo della Liberta' / foto Andrea Ninni/Image nella foto: Alberto Zangrillo

Quella col Torino, in programma nel prossimo weekend, per il Genoa è “la partita della vita”. L’ha dichiarato il nuovo presidente del club, il professor Zangrillo, in un’intervista esclusiva concessa al Corriere dello Sport. I sentimenti che prova Zangrillo li espone molto chiaramente.

«Mi cago sotto. Ma lei la metta giù meglio, in una forma più elegante. Spero che il vento che a Genova spira da nord non faccia cadere troppi giocatori… Per noi è la partita della vita. Ho fiducia in Mariani e nel calcio. Questo club fonde perfettamente una storia unica con scelte e concetti all’avanguardia»

La scelta di diventare presidente del Genoa nasce dalla «consapevolezza di poter far bene». È una responsabilità che «avverte fisicamente». L’obiettivo, al di là della salvezza, è «aumentare la reputazione del club, che ha una storia straordinaria e deve recuperare centralità nel sistema calcio». Per Zangrillo «non sono concetti astratti», ne è la prova la “commozione” che ha provato dopo l’abbraccio della curva, quando è andato a ringraziare i tifosi dopo il match con l’Atalanta.

«Avevo 14 anni quando lasciai Genova, ad aprile saranno 64 e mi piace pensare che questo incarico chiuda simbolicamente un cerchio esistenzial-sentimentale».

Non è una sfida facile. Il suo amico Briatore, dice, ha cercato in tutte le maniere di dissuaderlo dall’accettare la presidenza

«Qualcuno mi avrà dato del coglione, ma solo un genoano può capire. E io lo sono, totalmente. Sempre tra i primi a informarsi sulla sede del ritiro estivo della squadra. Amavo seguirne i primi passi. Ricordo che ai tempi di Franco Scoglio scelsero Madonna di Campiglio, la mia seconda casa. Non può immaginare la felicità».

Il suo ingresso in Lega.

«Non è stato facile, il mio ingresso in via Rosellini. Chissà cosa viene a fare questo scemo, il medico di, l’amico di, tanto sappiamo chi lo porta. Nei primi quattro mesi, essendo una persona intelligente, mi sono limitato a osservare. Sono un clinico, allenato a studiare e individuare i caratteri, a interpretare atteggiamenti e reazioni. Diciamo che sono passato dalla curiosità e dalla diffidenza nei miei confronti al rispetto. Negli ultimi tempi ho espresso la mia opinione sui temi più importanti. Poche parole, concetti chiari e definitivi. Molta misura. Molte cose dovrebbero cambiare all’interno della Lega, tutti hanno il dovere di sacrificare qualcosa in funzione dell’interesse comune. Anche sul piano dei comportamenti e del linguaggio sarebbe ora che ci si desse una regolata. Vede, io provengo da un altro mondo e faccio mio un pensiero del premio Pulitzer Dave Barry: “non avere mai paura di tentare qualcosa di nuovo. Ricorda: dei dilettanti realizzarono l’arca mentre il Titanic fu costruito da professionisti”».

Il suo Genoa è una rottura col passato?

«C’era la necessità di una rottura in termini di mentalità. E penso che il Genoa l’abbia dimostrato anche sul mercato. Il progetto è a medio-lungo termine ma non stiamo tralasciando assolutamente il breve. E il brevissimo, per questo penso a Genoa-Toro. Il nostro è un brand straordinario e mai utilizzato appieno, quasi riconosciuto più all’estero che in Italia. Modelli come Atalanta e Sassuolo sono da copiare e vincenti, e se hai alle spalle la storia esiste un trampolino di lancio importante. Il tutto in una città con una potenzialità e un appeal eccezionali in termini di turismo. Il Genoa è uno degli strumenti che devono rilanciare Genova e la Liguria».

Il varista Massa cosa ha visto la settimana scorsa?

«Credo totalmente nella sua buona fede, proprio per la dimensione esagerata dell’errore che non autorizza retropensieri. Ad ogni modo non venga a parlare a noi di torti subiti… A Genova abbiamo il vento di tramontana che spira da nord, mi auguro che domani non faccia cadere troppi giocatori. Nei giorni scorsi mi hanno spiegato che prima della partita un saluto di benvenuto all’arbitro è sempre gradito, un’ apprezzata forma di educazione. Ho chiesto se fosse così proprio a un direttore di gara e mi ha riposto di sì. Poi però durante l’intervallo vedo allenatori e giocatori che rientrano in campo parlando fitto fitto con arbitro e guardalinee e allora mi girano un po’ i coglioni».

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