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Così Pioli gliel’ha incartata a Spalletti

Una vittoria meritata, nata dalle scelte tattiche del tecnico rossonero che ha tolto ossigeno a Fabian e Lobotka. Tardive le contromosse del Napoli

Così Pioli gliel’ha incartata a Spalletti
Db Napoli 06/03/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Stefano Pioli-Luciano Spalletti

Una sconfitta meritata

Napoli-Milan 0-1 sarà ricordata come una delle partite di questa stagione in cui la squadra di Spalletti ha perso da qualsiasi punto di vista. Gli azzurri sono stati evanescenti in attacco, sono stati sovrastati a centrocampo, spesso sono stati messi in difficoltà pure in fase difensiva. La vittoria della squadra rossonera è ampiamente meritata, e – come succede sempre in questi casi – nasce dalla tattica. Dalle scelte di un allenatore che voleva mettere in difficoltà il suo omologo avversario. E ci è riuscito.

Vanno individuati e raccontati anche i demeriti del Napoli. Tanti ed evidenti. Il fatto che la squadra di Spalletti abbia concluso la partita con 2 soli tiri in porta, entrambi scoccati da Victor Osimhen, è un segnale chiaro, in questo senso. Il fatto che la metà più uno delle conclusioni totali tentate dai giocatori azzurri (5 su 9) sia arrivato dopo il 70esimo minuto chiude tutti i cerchi, nel senso che sottolinea in rosso gli errori commessi nell’impostazione della partita. Da parte di Spalletti, che ne è il responsabile. Da parte dei giocatori, che ne sono gli esecutori.

Il peso di Kessié

Ma quali sono stati gli errori commessi da Spalletti? E, dall’altra parte, cosa si è inventato Pioli per rendere così vacuo e spuntato il gioco offensivo del Napoli? Cominciamo dagli uomini e dalle spaziature: Spalletti ha disegnato l’ormai istituzionale 4-2-3-1-4-4-2 con Zielinski sottopunta e doble pivote composto da Lobotka e Fabián Ruiz; in avanti, due esterni a piede invertito (Politano e Insigne) alle spalle di Osimhen. Fin dall’approccio alla partita (buonissimo), il Napoli ha manifestato subito le sue intenzioni: muovere il pallone dal centro verso gli esterni, così da sfruttare i continui interscambi tra i terzini e i laterali offensivi. Il meccanismo è stato utilizzato soprattutto a destra, laddove la squadra di Spalletti ha costruito il 41% delle sue azioni: da quella parte, Di Lorenzo e Politano hanno creato spesso i presupposti per un’azione offensiva pericolosa, grazie a continue sovrapposizioni interne ed esterne.

Di Lorenzo si sovrappone internamente dal lato di Politano, che resta largo. Fabián Ruiz lo troverà con uno dei pochi passaggi tra le linee della sua partita.

Il Milan, invece, si è presentato al Maradona con un modulo diverso dal solito: Pioli ha ribaltato il triangolo di centrocampo e quindi ha disposto i suoi uomini con un vero e proprio 4-3-3/4-5-1. In questo modo, ha schermato tutti i migliori costruttori di gioco del Napoli con una marcatura personalizzata, se non proprio a uomo. È stata un’intuizione elementare, se vogliamo, ma estremamente funzionale. Per un motivo molto semplice: ha permesso al Milan di far valere la sua maggiore fisicità. Semplicemente, accorciare gli spazi tra i giocatori in fase difensiva permette di aumentare il numero di contrasti e quindi favorisce gli uomini con le maggiori misure atletiche. In questo senso, il dinamismo di Bennacer e soprattutto il peso di Kessié si sono rivelati insostenibili per Lobotka e Fabián.

Nel frame in alto, Bennacer a uomo su Lobotka e Kessié che segue Fabián Ruiz; sopra, dal sito della Lega Serie A, le posizioni medie di Napoli e Milan nel primo tempo, sia in fase attiva che passiva: si vede chiaramente come i rossoneri si siano schierati con un 4-3-3/4-1-4-1

È così che i due centrocampisti del Napoli sono stati completamente depotenziati. È così che Pioli ha reso arida, proprio dal punto di vista delle idee, la fase offensiva della squadra di Spalletti. I dati chiariscono ancora meglio tutti questi concetti: in una partita in cui il Napoli ha fatto registrare il 60% di possesso palla, Fabián Ruiz e Lobotka hanno accumulato un numero di tocchi consistente ma non elevato, ovvero 65 (lo slovacco) e 64 (lo spagnolo); entrambi, inoltre, non sono riusciti a servire alcun passaggio chiave. Insomma, per dirla brutalmente: con Kessié e Bennacer schierati come mezzali, Pioli ha privato il Napoli di entrambi i suoi cervelli. Gli ha tolto l’aria, li ha asfissiati, rendendo quasi sempre innocua la costruzione dal basso della squadra di Spalletti. Con conseguenze facilmente immaginabili, di cui parleremo tra poco.

In pochissime occasioni, Lobotka e (soprattutto) Fabián sono riusciti a trovare delle linee di passaggio davvero interessanti, magari in verticale. Per capire cosa intendiamo, per capire cosa è mancato al Napoli privato dell’apporto costruttivo/creativo dei suoi centrocampisti, vediamo proprio una delle rarissime azioni in cui Fabián è riuscito a giocare in maniera libera. Siamo al 12esimo minuto, ovvero all’apice del buon inizio del Napoli. Anzi, diciamola meglio: dell’unico buon momento tattico vissuto dalla squadra di Spalletti nel corso della partita.

Al di là del possibile fallo da rigore, di cui Spalletti si è lamentato nel postpartita, si tratta di un’azione tatticamente significativa.

Le conseguenze

Questo tipo di lanci in verticale avrebbero potuto fare male a una squadra come il Milan, geneticamente portata ad allungare e allargare il suo campo – sia in attacco che in difesa. Con la sua mossa del centrocampo a tre, del 4-3-3/4-5-1, Pioli ha soffocato sul nascere questa possibilità. L’abbiamo spiegato finora, e adesso ci aggiungiamo qualche altro dato. Ricordate quante azioni del Napoli sono state costruite a destra? L’abbiamo detto sopra: il 41%. Il vero problema è che anche il dato relativo alla fascia sinistra è decisamente alto: 38%.

Cosa vuol dire questo? Che il Napoli si è chiuso – letteralmente – sulle fasce laterali in otto azioni su dieci. Che il Milan ha completamente cancellato l’opportunità per cui la squadra di Spalletti risalisse il campo per tracce interne e verticali, in spazi stretti, laddove la maggior propensione al palleggio e la miglior tecnica nello stretto, da parte dei giocatori azzurri, avrebbero potuto annullare il gap fisico. Un dato interessante, in questo senso, è quello dei cross: il Napoli ne ha tentati 16, il Milan 11. Certo, la presenza e le caratteristiche di Osimhem – un attaccante atleticamente strutturato – renderebbero interessante e potenzialmente valida questa soluzione, ma a parte il centravanti nigeriano il Napoli aveva in campo Insigne, Politano, Zielinski. Tutti giocatori privi non solo delle misure fisiche adatte, ma anche dei tempi di inserimento necessari per sfruttare questo tipo di situazioni.

Dopo pochissimi secondi di gioco, il Napoli ha già un’occasione per mettere il pallone a centro area dalla destra. Il problema è che in area c0’è solo Osimhen: una situazione che si ripresenterà spesso nel corso della partita.

Non solo difesa

La vittoria meritata del Milan, ovviamente, va oltre le azzeccatissime scelte di Pioli per bloccare il Napoli. La squadra rossonera ha giocato il pallone in modo sempre intelligente, cioè in modo da sfruttare le caratteristiche dei suoi migliori giocatori. Per farlo, si è affidata soprattutto all’incredibile e illuminato dinamismo di Theo Hernández, un vero e proprio regista laterale, il centro di gravità della stragrande maggioranza delle azioni costruite dai suoi compagni.

Anche in questo caso ci sono dei numeri che confermano il tutto: il terzino francese è il giocatore del Milan che ha toccato più palloni (72), e che ha effettuato più passaggi chiave (3). Dalla sua parte, poi, c’era anche Rafael Leão, ovvero il calciatore in campo a cui sono riusciti più dribbling (3). In pochi lo ricorderanno, ma anche la punizione da cui è scaturito il gol di Giroud è stata conquistata da Theo: dopo uno dei suoi continui – e fastidiosissimi, per gli avversari – movimenti a tagliare il campo, si è ritrovato sulla fascia destra e ha indotto Insigne a commettere fallo.

Come nasce un gol

È grazie ai continui interscambi tra i due giocatori sul binario di sinistra che il Milan è riuscito non solo a creare diverse azioni pericolose, ma anche a determinare situazioni come questa, ovvero superiorità numeriche che sparigliano i sistemi difensivi, che creano apprensione. Nel video che vediamo sopra, è la tecnica di Theo a fare la differenza, più che le sue inclinazioni tattiche. Ma azioni del genere sono state una costante nel corso della partita: come si vede chiaramente dalla costruzione bassa – avviata da Maignan con Calabria, Kalulu e Tomori più Tonali – che poi si evolve in un tocco in verticale verso Bennacer, il Milan si muove e muove il pallone proprio per creare i presupposti affinché Theo possa ricevere il pallone quando è già in zona avanzata. Quando – e dove – può fare regia, anche se in realtà è un terzino sinistro.

In altre occasioni, questa stessa dinamica ha portato il Milan a isolare Rafael Leão contro Di Lorenzo, un altro scontro impari in quanto a fisicità e scatto e tecnica di base – anche se in realtà Di Lorenzo ha retto bene e poi con Leão lo scontro sarebbe impari per tutti i terzini della Serie A. Il resto, per il Milan, l’hanno fatta la destrezza di Giroud – non solo nell’azione del gol, ma anche quando ha causato l’ammonizione di Koulibaly, per esempio – e la perfetta tenuta fisica lungo tutti i 90 minuti, che ha permesso di mantenere sempre alta l’intensità del pressing sulla prima costruzione del Napoli.

Siamo a pochi secondi dalla fine della partita, eppure il Milan ha ancora la forza (mentale e fisica) di portare cinque uomini in pressing sulla prima costruzione del Napoli.

È così che una squadra dai valori individuali non eccelsi diventa complessa dal punto di vista tattico, e quindi difficile da affrontare. Soprattutto per chi, come il Napoli, vuole inclinare le partite sul palleggio, sulla qualità del gioco. Non a caso, viene da dire, il Milan ha ottenuto 21 punti in dieci partite giocate contro le prime sette della classifica. È il dato più alto tra le squadre di testa, quindi dell’intera Serie A.

Come il Napoli ha provato ad alzare il ritmo

Dopo il gol di Giroud, casuale ma meritato da parte del Milan, il Napoli ha provato ad alzare il ritmo, l’intensità del suo gioco. Ci è riuscito davvero in una sola occasione, quando Osimhen e Politano hanno duettato bene al limite dell’area e poi il centravanti nigeriano non è riuscito ad angolare la conclusione. Dopo quell’azione, la squadra di Spalletti ha ricominciato a macinare un possesso palla lento, prevedibile, contenuto con tranquillità dal Milan – con le modalità di cui abbiamo parlato finora.

Con i cambi, la situazione è leggermente migliorata: Ounas ha dato un altro sprint sulla destra rispetto a Politano, Elmas è entrato al posto di Insigne e poi è via via retrocesso verso il centrocampo quando Spalletti ha inserito prima Mertens e poi Lozano e Zambo Anguissa. Con le ultime sostituzioni, il Napoli è diventato una squadra più diretta, più immediata nel tentativo di penetrare nella trequarti del Milan. Non a caso, viene da dire, al minuto 85′ è arrivato il secondo tiro in porta del Napoli. Sempre con Osimhen. Sempre con un lancio in verticale, grazie al quale il centravanti nigeriano ha potuto aggredire lo spazio alle spalle della difesa del Milan.

Vi ricorda qualcosa?

Ecco, probabilmente il Napoli avrebbe potuto e dovuto forzare un po’ di più questo tipo di giocata. Come abbiamo visto in precedenza, il Milan ha studiato e trovato un modo per limitare proprio questo tipo di lancio, ma forse è stata anche una questione di scelte, di formazione. Nel senso: la presenza di diversi giocatori associativi, puramente di possesso (Lobotka e Fabián, ma anche Politano e Insigne, e se vogliamo anche Mário Rui), ha inevitabilmente inclinato la gara del Napoli verso quel tipo di calcio. Le mosse contenitive ideate da Pioli hanno quindi trovato terreno fertile su cui germogliare. È come se Spalletti si fosse messo nella condizione di farsi fermare, o comunque limitare. E poi, ovviamente, ha cercato le contromisure solo dopo il gol, nella ripresa, quando la partita diventa inevitabilmente più fisica che tecnica e tattica. Quando era troppo tardi, forse.

Conclusioni

Su quest’ultimo punto, pesano sicuramente i rientri – e quindi la condizione ancora lontanissima dal top – di giocatori come Anguissa e Lozano. Ovvero, quegli elementi che a inizio stagione avevano permesso a Spalletti di creare un Napoli veramente ibrido nel suo approccio tattico alle varie partite. Non a caso, nel postgara, lo stesso tecnico toscano ha parlato proprio di Lozano e Anguissa, del «loro talento che ancora ci manca perché sono tornati da poco». Come dire: Spalletti non era nelle condizioni migliori, non poteva scegliere davvero l’approccio giusto per Napoli-Milan, almeno col senno del poi. Ma ci ha messo anche del suo. Nel senso che la sua squadra ha continuato a essere leggera e quindi evanescente in fase offensiva, come in pochissime altre occasione in questa stagione.

Certo, ora è fondamentale evitare che la partita e la sconfitta contro il Milan cambino di molto la dimensione, lo spessore, del campionato del Napoli. La distanza con la vetta è ancora colmabile (quattro punti se l’Inter riuscisse a battere il Bologna nella partita che gli manca, altrimenti tre), il vantaggio sul quinto posto (sette punti nel caso in cui l’Atalanta vincesse il suo match di recupero) esiste ma non è del tutto rassicurante, quindi Spalletti e la sua squadra devono riprendere a marciare, a rifare ciò che ha permesso loro di lottare per lo scudetto. Vale a dire: studiare e affrontare le partite una alla volta, cercando sempre il modo migliore per vincerle, adattando un’identità radicata al contesto. Senza fossilizzarsi su un’idea, uno schema, un set di principi di gioco.

In questo senso, la prima settimana lunga con tutta la rosa a disposizione potrebbe avere un significato importante. Poi ci sarà una sfida difficilissima, in casa del Verona. Si tratterà di un test importantissimo per capire non tanto dove potrà arrivare il Napoli in questo finale di stagione, ma come vorrà affrontarlo. Dal punto di vista tattico, prima ancora che emotivo.

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