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Gravina: «I club hanno gli strumenti per identificare i razzisti. Gli ispettori sul campo siano più attenti»

A Repubblica: «Se l’Italia non si qualifica non mi dimetto. In Serie A ho contro solo due o tre vecchi protagonisti del calcio che non hanno fatto il bene del movimento»

Gravina: «I club hanno gli strumenti per identificare i razzisti. Gli ispettori sul campo siano più attenti»
Db Reggio Emilia 09/04/2019 - amichevole/ Italia-Irlanda femminile / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gabriele Gravina

Su La Repubblica una lunga intervista al presidente della Figc, Gabriele Gravina. Gli viene chiesto se, in caso di fallimento dell’Italia, con l’esclusione dal Mondiale, si dimetterebbe.

«Solo un folle lega la politica al risultato sportivo. Io voglio vincere, ditemi dove devo andare a piedi per vincere queste due partite e ci vado. Ma se pensassi che vincendo due partite risolverei i nostri problemi, ucciderei il calcio italiano».

Il suo caso, dice, è diverso da quello di Giancarlo Abete e Carlo Tavecchio, che si dimisero in analoghe circostanze. A fare la differenza è la maggioranza solida che lui ha e che loro non avevano.

«Io sono stato eletto un anno fa, abbiamo vinto l’Europeo, ho una maggioranza solida e un ampio consenso. Non esiste l’istituto della sfiducia, se mi facessi da parte per andare al voto probabilmente verrei rieletto. Che presupposti ci sono per dimettersi? Nessuno».

Sulla mancata crescita del calcio italiano:

«Se la Juve perde 3-0 con la settima spagnola c’è un motivo. Se tutte escono prima dei quarti in Champions c’è un motivo. Le Primavera hanno solo il 30% di giocatori italiani, non ci sono infrastrutture per far allenare i giovani, abbiamo perso 200 mila tesserati del settore giovanile e scolastico durante la pandemia, recuperandone poi 120mila. La responsabilità politica c’è se non si risolvono questi problemi».

Una responsabilità che dice di condividere con l’intero sistema calcio, ma lancia una bordata alla Lega Serie A.

«La condivido con tutto il sistema calcio. Certo, l’elemento trainante, la Lega, deve dare dimostrazione di leadership comportamentale. Con i progetti, non con le urla. Se avremo coraggio, otterremo risultati nel medio termine. Diversamente, raccoglieremo i cocci».

Ma la Serie A è divisa su di lei.

«Non è vero. La Serie A non sono solo due o tre soggetti. Io ricevo consensi quotidianamente. Ci sono resistenze da parte di vecchi protagonisti del calcio che non hanno fatto il bene del movimento e non possono oggi essere un riferimento governativo».

Gli fanno notare che i club sono compatti contro l’introduzione dell’indice di liquidità per l’iscrizione al campionato.

«Il tema delle licenze è delicato. Se la A non comincia ad adeguare il proprio modus operandi a logiche aziendali vere, avrà un risveglio violento quando sarà la Uefa, con la commissione che ho l’onore di presiedere, a inserire indicatori rigidi per giocare le coppe, dal 2024/25. Se alcuni indicatori economici mi dicono che il sistema è in una condizione di prefallibilità, io devo intervenire. Come la difendo la Serie A? Lasciandola fallire o creando i presupposti per una gestione virtuosa? La mia preoccupazione coincide con quella di Fifa, Uefa e tante altre federazioni. Non capisco le reazioni scomposte, invece di fornire possibili soluzioni».

Cosa intende fare la Figc per contrastare il fenomeno delle plusvalenze?

«Sul piano sportivo, potremmo arrivare a considerare solo il saldo attivo delle operazioni: se fai lo scambio di figurine, non hai un vantaggio. Studiamo soluzioni per togliere la tentazione. Sul piano civilistico, resta il problema della valutazione oggettiva di un calciatore. Ma su questo è al lavoro la giustizia, non solo sportiva».

Sul razzismo:

«Tutte le società hanno gli strumenti tecnologici per identificare i razzisti e devono utilizzarli, altrimenti pagano. Tante li hanno denunciati penalmente. Piuttosto, gli ispettori sul campo dovrebbero essere più attenti ad ascoltare cosa succede».

Questione Superlega:

«Quel contratto è un’ipotesi progettuale. Se diventasse realtà, la Juventus sarebbe fuori dal campionato italiano. La Superlega è la risposta sbagliata a un’esigenza reale. Anche l’Italia deve ragionare su come migliorare la qualità del campionato e renderlo più appetibile per i mercati in espansione come quello arabo dove al momento raccoglie poco».

 

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