ilNapolista

Se fosse uscito dalla mattonella, Insigne avrebbe avuto un futuro diverso dal pensionato d’oro a Toronto

Ancelotti è stata la sua Sliding Doors, finì con l’opporsi a quella trasformazione tattica che invece gli avrebbe allungato la carriera. Per chi lo stima, è triste vederlo finire cosi

Se fosse uscito dalla mattonella, Insigne avrebbe avuto un futuro diverso dal pensionato d’oro a Toronto

Era il 23 settembre del 2018 e il Napoli andava a vincere a Torino, sponda granata. Fu una partita che, non so per quale motivo, ricordo nitidamente. Si giocava alla mezza. Insigne segnò due gol. Non bellissimi, anzi. Due gol che definiremmo di rapina. Ce li ho ancora a davanti, impressi. Sarà perché ce l’avevo contro al fantacalcio: può darsi.

Eppure ricordo anche che esattamente una settimana prima – e non ce l’avevo contro al fantacalcio – Lorenzo aveva deciso, incrociando col destro un buon servigio di Milik, un’ostica sfida alla Fiorentina al fu San Paolo. Uscito dal campo, Ancelotti l’aveva baciato. Qualcuno, tra cui il sottoscritto, fantasticò. Era l’investitura, quella che avevano ricevuto Kakà, Pirlo, Drogba. I pupilli veri del tecnico di Reggiolo.

bacio

Il bacio di Ancelotti a Insigne

Dieci giorni dopo quel Napoli-Torino, poi, tanto per non farsi mancare nulla, Il Napoli decise di battere i vice-campioni d’Europa del Liverpool, ancora in casa, senza farli tirare in porta. Non mi sembrava vero. Il gol, ancora una volta, l’aveva fatto lui, Lorenzo. Imbeccato da Callejon, in scivolata, Insigne aveva purgato di nuovo Klopp, questa volta al novantesimo.

Erano settimane in cui si respirava un’aria particolare. L’oramai ex capitano segnò anche al Psg, all’andata con uno scavetto a incrociare (sempre da destra, non aggiro) e poi al ritorno, su rigore. Ancelotti l’aveva avvicinato alla porta, gli aveva cambiato posizione. Giocava nei due davanti con licenza di svariare su tutto il fronte offensivo. Con l’ordine di mettere al servizio della squadra la sua creatività, le sue rifiniture. E Lorenzo, cavoli, aveva risposto presente. Eccome se aveva risposto presente.

In quei giorni, lo ammetto serenamente, ho avuto (come non mi è più successo dopo) la netta impressione che Insigne stesse diventando un campione. Uno di quelli che mettono il marchio su una generazione di tifosi. Non segnava gol bellissimi – a Napoli ne ha fatti di più belli, certi colpi non gli sono mai mancati – ma di gol ne segnava tanti, e li segnava in partite europee dal sapore storico. E poi mostrava un’attitudine ad incidere, soprattutto nei match importanti, che negli anni successivi ha ritrovato, sì, ma con meno continuità.

Quello che è successo dopo, francamente, farò sempre una certa fatica a capirlo. Si inceppò qualcosa, all’improvviso. Tutto a un tratto. Iniziarono i malintesi con Ancelotti, prese quota il piccio sulla posizione in campo ed un Napoli senza obiettivi iniziò ad avere qualche scricchiolio. L’anno seguente, poi, il rapporto tra i due apparve subito compromesso. Sin quando da Dimaro Insigne dichiarò che in Nazionale giocava in un ruolo in cui “si trovava meglio”. Pur dentro quel momento complicato resta impossibile da dimenticare quella corsa forsennata che Insigne fece dopo aver segnato al Salisburgo (ancora da destra, sempre non aggiro) per andare ad abbracciare il suo allenatore, che l’aveva messo dentro a pochi minuti dalla fine. Una corsa che fece presagire (e purtroppo solo presagire) un lieto fine diverso.

Resta indiscutibile – almeno per chi scrive –  il fatto che Lorenzo perse, in quel periodo, una grande chance. E che se oggi si è ritrovato a fare questa scelta da ex calciatore ad appena trentun anni (e peraltro dopo aver vinto un Europeo con la 10 sulle spalle) è anche perché non ha accettato, innanzitutto all’epoca, l’idea di diventare un attaccante universale. Ha preferito la comfort-zone. La mattonella, il passaggio tagliato, il tiraggiro, le ragnatele col terzino e col mezzo sinistro. Cose che sa fare benissimo, eh, sia chiaro. E che specie quando riescono regalano scorci di grande bellezza. Ma che lo rendono, spesso, un calciatore prevedibile. E certamente poco versatile. Forse, per questo, meno appetibile.

Basti pensare che che se l’Inter di Marotta – che ha una passione per i parametri zero – non ha affondato il colpo, probabilmente, è proprio perché tutti sanno che Insigne vuole fare solo l’ala sinistra. In un attacco a due come quello di Inzaghi non ci vuole stare. Ad Ancelotti lo disse chiaramente, chiedendogli in ritiro di essere spostato di nuovo sulla sua mattonella. Lorenzo ha scelto di essere soltanto un calciatore di sistema. È una scelta cocciuta, che ha finito col penalizzarlo. E questo perché coi mezzi tecnici che ha a disposizione (palesi, innegabili, per cui non ci si può neanche più sorprendere) avrebbe potuto regalarsi una seconda parte di carriera diversa. Non sappiamo se migliore, ma senza dubbio interessante. Il gol straordinario che ha segnato poche settimane fa col Legia, l’unico su azione in questa stagione, sempre da destra, sempre da dentro l’area di rigore, lo sta a testimoniare con forza.

Si dirà che ha comunque vinto un Europeo, e che ha comunque – a suo modo – scritto una parte della storia del Napoli. Certo. È così e nessuno glielo toglie. Sono traguardi importantissimi. Se però avesse fatto, prima dei trent’anni, quell’ultimo passo in avanti, quell’ultimo step, avrebbe potuto avere una consacrazione diversa. Che gli avrebbe consentito un finale di carriera ben più dignitoso di una ricca pensione canadese. Chi scrive, in fondo, non può che esserne dispiaciuto.

ilnapolista © riproduzione riservata