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Ormai in Formula 1 le gare si decidono in tribunale, è più cronaca giudiziaria che sport

Quel che accade tra i commissari è molto più interessante di quel che avviene in pista. Tra investigazioni e sanzioni, è deciso tutto a tavolino

Ormai in Formula 1 le gare si decidono in tribunale, è più cronaca giudiziaria che sport
Monza 12/09/2021 - gara F1 / foto Imago/Image Sport nella foto: Max Verstappen-Lewis Hamilton

Non è Formula Uno. È Forum. È quella figata un po’ tamarra di Drive to Survive – anche – ma con il giudice Santi Licheri (buonanima) che ogni tanto convoca i litiganti, li “investiga” e poi distribuisce punizioni e sanzioncine a pioggia. Cinque secondi a Lewis di qua, una tirata d’orecchie e 25.000 euro a Max di là. E ora fate i bravi che altrimenti vi mando dal preside.

Quei due, Hamilton e Verstappen, si stanno giocando un Mondiale all’ultima corsa della stagione, dopo 21 gare che si sono annullate quasi algebricamente: in volata, strozzati a pari punti (369,5) compreso quello strano mezzo punto raggranellato in una piega del regolamento più rarefatto della storia dello sport. Quei due sono un sette volte campione del mondo e un predestinato della generazione Playstation. In Arabia Saudita volano tra muretti semi-cittadini e curve cieche a 300 all’ora, sfiorandoli al millimetro, fanno a sportellate manco girassero a Edenlandia, ci rimettono alettoni avveniristici. Gli stessi che per regolamento non possono subire variazioni di un millimetro pena retrocessioni e squalifiche, ma che poi in gara finiscono a brandelli.

A Gedda i due hanno chiuso una gara senza capo né coda, tra bandiere gialle e poi rosse piazzate lì alla rinfusa, gite ai box, safety car vere o virtuali. Non si sono fatti mancare nulla, tamponamento indotto compreso. Roba da rissa nel traffico. Oliver Brown sul Telegraph scrive che “Max Verstappen ha uno scarso rispetto per l’autoconservazione. Non ha la minima paura di schiantarsi”. Figurarsi l’altro che rumina asfalto da troppi anni per temere la contesa.

Però tutta questa adrenalina della velocità estrema è un contorno. Un effetto speciale abbagliante facilmente spendibile in tv dopo anni di sbadigli e penniche post-prandiali. Nel frattempo la classifica, e quindi il senso stesso della vittoria e della sconfitta, resta nelle decisioni a tavolino di una sorta di tribunale permanente effettivo: gli steward, i commissari di gara. La Formula Uno è diventata kafkiana.

La rappresentazione plastica di questa deriva burocratica è l’inedita trattativa a bordo pista avvenuta nel bel mezzo della gara più pazza del Mondiale. Si fa fatica persino a spiegarla: gara interrotta al giro 16, bandiera rossa per la seconda volta. Verstappen, superato da Hamilton in una prima ripartenza, avrebbe dovuto restituire al britannico la posizione per aver tagliato la pista in un ruota a ruota. Il direttore di gara, Michael Masi, si mette alla radio e apre una surreale negoziazione con il box Red Bull e Mercedes sulle posizioni di partenza del re-start.

“Ciao, vi do l’opportunità di partire secondi dopo quello che è successo alla seconda curva”
“Accettiamo la seconda posizione se Ocon è in pole”.
“Scusa, volevo dire che Verstappen parte dietro Hamilton. Scusa, non mi sono espresso bene. Questa è la mia offerta”.

Masi la trasmette per conoscenza anche alla Mercedes:

“Primo Esteban, secondo Lewis e terzo Max. Questa è l’offerta che ho fatto. Vi informeremo a breve. Ovviamente se non accetteranno la trasferiremo ai commissari”.

La Red Bull accetta:

“Accettiamo la proposta di Ocon, Hamilton, Verstappen. Comunque, bisognerebbe guardare anche al modo in cui Hamilton e Bottas hanno rallentato sulla griglia nel giro di formazione”.
“Va bene, ma è successo in un momento clou, non in un giro di formazione”.

“Che modo è di gestire uno sport? – si chiede sul Daily Mail Martin Samuel – Per consultazione? Come può essere? Il difensore che commette fallo può scegliere tra punizione e cartellino rosso o rigore e ammonizione? Chi comanda qui?”. “Che suk!”, titola L’Equipe. Come stare al mercato, appunto. In quel momento, più che in altri, si sta decidendo il Mondiale, con tutti i fragilissimi equilibri di carriere, sponsor, miliardi. E passano sull’intoppo regolamentare con l’approccio del salumiere che arrotonda l’etto di prosciutto. Dipingendo una cornice raffazzonata, disegnata su regole confezionate anni fa e ormai desuete.

L’impressione tattile è che mentre quei due provano a (non) uccidersi in pista, le loro sorti siano guidate da pupari chiusi in una stanza tipo quella della Var. Attaccati alle comunicazioni radio, in un processo di cazziatoni, avvertimenti, e punizioni. Per cui ad ogni qualifica, ad ogni giro veloce, ad ogni sorpasso al limite, scatta nelle cuffie un triangolo di accuse e difese, in tempo reale. Divertente, certo. Come al circo. Ma è un feticismo quasi giurisprudenziale: le conversazioni radio fanno ormai evento a sé, uno spinoff dello stesso spettacolo. Titillano il voyeurismo dell’intercettazione. Ma soprattutto abbattono la barriera tra la dinamica dell’antagonismo violento, in pista, e il formalismo arbitrale che lo dirige.

La Formula Uno corre fortissimo ma nel frattempo è uno sport continuamente sub iudice. Sotto lo scacco di indagini e appelli che spesso annullano o slabbrano il risultato della gara in maniera posticcia. Questo Mondiale ne è la fotografia. La gara di Gedda, che i più affilati titolisti hanno definito un “Armagedda”, è terminata davvero ore dopo la premiazione, quando gli steward hanno chiuso l’ennesima “investigazione” sui due protagonisti, punendo alla fine Verstappen con dieci sterili secondi di penalità da scontare ex post. Mai e poi mai la Fia avrebbe rovinato la storia meravigliosa dei due nemici che arrivano all’ultimo Gran Premio appaiati in classifica. Stropicciando un copione scritto, anche, dal monogrado di giustizia istantanea che è il vero padrone del giocattolo.

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