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Spalletti il piccolo chimico tattico coraggioso

Sceglie per ogni partita e dentro ogni partita rivolta la sua squadra come un calzino. Recupera giocatori che sembravano perduti. Insomma è un allenatore

Spalletti il piccolo chimico tattico coraggioso
Db Milano 21/11/2021 - campionato di calcio serie A / Inter-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Il coraggio che paga

Al termine di Milan-Napoli, mentre rilasciava la sua consueta intervista postpartita ai microfoni di Dazn, Luciano Spalletti era sorridente. Per non dire raggiante. Quando gli hanno chiesto cosa avesse apprezzato di più della sua squadra, ha spiegato che «la cosa migliore che ho visto è stata la capacità, quindi anche la volontà di non abbassarsi mai. Siamo sempre rimasti alti in campo, tranne negli ultimi cinque minuti, quando loro hanno iniziato a saltare il centrocampo e a mettere la palla in area per Ibra e Giroud. A quel punto, abbassarsi un po’ era inevitabile».

Queste parole descrivono perfettamente il bello della partita giocata del Napoli. Le ha dette un allenatore professionista con una certa esperienza e quindi avremmo il dovere di fidarci, di credergli. Ma basta riavvolgere il nastro della gara di San Siro per accorgerci tutti, in prima persona, del coraggio tattico – ma anche tecnico ed emotivo – con cui il Napoli ha affrontato il Milan. È da qui che nasce una vittoria dal peso specifico enorme. Non solo per la classifica.

Le scelte iniziali di Spalletti sono state spiazzanti: 4-2-3-1 puro in fase offensiva con doble pivote composto da Demme e Anguissa davanti alla difesa a quattro; Petagna centravanti con Lozano ed Elmas sugli esterni, e Zielinski sottopunta. Proprio la posizione del polacco – oltre alla sua magistrale partita – va studiata con attenzione: in fase attiva, è stato un vero e proprio uomo-ovunque, si è mosso in tutte le direzioni per agevolare la progressione del gioco tra le linee, l’ha fatto con grande dinamismo ma soprattutto con enorme qualità (56 palloni giocati, 4 passaggi chiave); nel momento in cui c’era da recuperare il pallone, la sua posizione ultra-avanzata in campo determinava un 4-4-2 puro pensato per schermare la salida lavolpiana di uno dei due centrocampisti del Milan o lo scivolamento a tre difensori.

Nella prima immagine dall’alto, il 4-2-3-1 del Napoli; nella seconda, il Milan costruisce a tre mentre il Napoli difende con il 4-4-2 puro; sopra, tutti i palloni giocati da Zielinski

Piccolo glossario: per salida lavolpiana si intende il movimento sistematico di un centrocampista che arretra in mezzo ai due difensori centrali di una linea a quattro per impostare da dietro. Per scivolamento a tre difensori, invece, si intende la trasformazione della difesa, che in fase attiva passa da quattro a tre uomini – nel Milan, Ballo Touré era il terzino deputato a sganciarsi in avanti, mentre Florenzi rimaneva accanto a Tomori e Romagnoli. Insomma, Spalletti ha studiato un modo per mettere in difficoltà la costruzione dal basso del Milan. Il 4-4-2 e un baricentro alto – trascinato letteralmente dall’aggressività di Zielinski – non hanno permesso ai rossoneri di partire da dietro con la loro formula consolidata. Si vede chiaramente anche nei dati relativi alla posizione media delle due squadre in campo.

I dati sul baricentro di Milan e Napoli, registrati dalla Lega Serie A

Il fatto che il Napoli abbia tenuto un baricentro più basso rispetto a quello del Milan va fatto risalire al minuto del gol di Elmas (4′). La cosa più impressionante, in senso positivo, sta però nel fatto che la squadra di Spalletti sia riuscita – proprio come spiegato dal tecnico toscano ai microfoni di Dazn – a mantenere questo atteggiamento anche nel secondo tempo. Anzi, i dati – nello screen sopra – dimostrano come nella ripresa gli azzurri siano riusciti ad avanzare, sul campo, di un metro. Si tratta di una differenza piccola, che però fa tutta la differenza del mondo. Perché spiega la vittoria. La motiva, la legittima. E racconta che il coraggio può pagare. Che spesso paga, proprio come in questo caso.

La prestazione perfetta

Nella prima parte del campionato, il Napoli è stata la miglior squadra in assoluto per rendimento arretrato A Milano si è rivisto quel Napoli attento, concentrato, corto e cattivo in fase difensiva. Come detto sopra, l’aggressività portata fin dal primo pressing – con Zielinski ma anche Petagna: un’altra scelta indovinata di Spalletti, ne parleremo – ha permesso alla squadra di venir su, e ai difensori di anticipare le letture e le giocate. Rrahmani e Juan Jesus, in questo senso, hanno offerto una prestazione praticamente perfetta. Lo dicono i numeri: Rrahmani ha accumulato 11 eventi difensivi, di cui 8 palloni spazzati e 3 intercetti (vale a dire palloni recuperati senza andare a contrasto con l’avversario); Juan Jesus, invece, è stato molto più deciso e aggressivo in marcatura (5 contrasti tentati).

Tutti i falli commessi dal Napoli: in questo campetto, la squadra di Spalletti attacca da destra verso sinistra

Dopo la partita contro l’Atalanta, Spalletti aveva – poco velatamente – invitato la sua squadra a prendere spunto da quella di Gasperini in relazione a un certo aspetto del gioco: i falli commessi nella metà campo avversaria. Al termine della prima settimana in cui ha avuto modo di lavorare in maniera continuativa in allenamento, il tecnico toscano sembra aver trasmesso perfettamente questa indicazione ai suoi. Sopra, infatti, abbiamo “letto” la mappa dei falli commessi dai giocatori del Napoli: sui 18 complessivi, ben 13 sono stati commessi al di là della linea di centrocampo. Anche questo è un sintomo/segnale dell’atteggiamento proattivo tenuto dal Napoli lungo tutto l’arco della gara.

Ed è da qui che nascono i dati piuttosto inconsistenti dell’attacco del Milan: dei 12 tiri tentati dalla squadra, di Pioli, solo 2 sono entrati nello specchio della porta; 6 conclusioni sono arrivate dall’interno dell’area di rigore, e le uniche da fuori area davvero pericolose sono state quelle di Florenzi e Messias. Insomma, Ospina ha dovuto compiere solamente 2 parate complessive, entrambe nel giro di un minuto (in apertura di ripresa, tra il 48esimo e il 49esimo). Persino nel quarto d’ora finale di forcing, quando Pioli ha inserito anche Giroud e poi Castillejo e ha disegnato un 4-2-4 piuttosto spregiudicato, il Milan ha costruito pochissime occasioni vere. Anzi, degli unici 3 tiri tentati, uno è stato respinto e gli altri sono arrivati da fuori area.

Andrea Petagna

Nella sua preparazione della partita, ovviamente, Luciano Spalletti non si è limitato alla messa a punto della fase difensiva. Il calcio contemporaneo è un gioco sequenziale, in cui una squadra che non sa cosa fare quando ha il pallone tra i piedi è destinata a difendere male – e viceversa. Dal punto di vista offensivo, il Napoli ha fatto delle scelte ugualmente radicali, se vogliamo. Come vi abbiamo già anticipato, tra le righe e non solo, quella più indovinata riguarda Andrea Petagna. Che, semplicemente, è stato schierato nel suo ruolo e in un contesto tattico che potesse assecondare le sue caratteristiche. Vediamo perché.

Tutti i palloni giocati da Andrea Petagna

Basta partire da qui, da questa mappa dei palloni giocati, per capire cosa intendiamo. Se non è abbastanza chiara, possiamo integrare ed espandere il concetto snocciolando un numero: su 509 passaggi complessivi da parte dei giocatori del Napoli, 65 sono stati lunghi; di questi 65, ben 59 sono stati direzionati in zona-2 e in zona-3, quindi vale a dire oltre la trequarti difensiva. Petagna è stato funzionale – oltre che nel pressing offensivo, di cui abbiamo già parlato sopra – per ricevere e proteggere questo tipo di palloni. Per raccogliere i lanci dei suoi compagni, addomesticarli e permettere ai compagni di ricevere un passaggio pulito.

È stata una scelta tattica piuttosto indovinata, e non solo perché Petagna ha offerto una delle migliori prestazioni da quando è a Napoli – se non la migliore in assoluto. Questo meccanismo ha anche permesso alla squadra di Spalletti di mandare in crisi il sistema difensivo del Milan. Il concetto applicato è piuttosto semplice: con Petagna che accorcia il campo e viene indietro a ricevere e controllare il pallone, il/i difensore/i di una squadra aggressiva come il Milan sarà/saranno inevitabilmente costretto/i a seguirlo; in questo modo, si determineranno degli spazi in cui gli altri giocatori del Napoli potranno inserirsi e muoversi con maggiore libertà. È andata esattamente in questo modo.

Come creare spazi in due tocchi

Questo tipo di azione si è ripetuta tantissime volte nel corso della partita. Per merito della forza, del sacrificio, anche dell’intelligenza tattica di Petagna. Non a caso, viene da dire, Elmas, Zielinski e soprattutto Lozano hanno giocato tantissimi palloni (rispettivamente 47, 56 e 67), sono stati continuamente coinvolti, cercati, trovati nelle loro ma anche in altre posizioni. Il messicano, come detto ed evidenziato dai numeri, è stato il più presente giocatore offensivo quando si è trattato di alimentare il gioco della sua squadra, non solo dal suo lato e non solo in fase offensiva.

Per l’ennesima volta, le statistiche ma anche le sensazioni dimostrano come l’ex Psv si trovi molto più a suo agio in un gioco verticale, diretto, che vuole e riesce a generare spazi ampi, aperti. Il Napoli ha cercato di fare proprio questo. E l’ha fatto bene, per ampi tratti della partita. Anche come conseguenza del suo atteggiamento difensivo a dir poco ambizioso.

Tutti i palloni giocati da Hirving Lozano

Stanislav Lobotka come esempio

A un certo punto della partita, però, le cose sono cambiate. Serviva controllare il pallone in maniera diversa, almeno nella trequarti difensiva. E allora Spalletti ha pescato al meglio dalla panchina: al minuto numero 54, un impalpabile Demme è stato sostituito da Stanislav Lobotka. L’ingresso dello slovacco, come detto, doveva – idealmente – permettere al Napoli di gestire il possesso nel proprio terzo di campo con maggior qualità. È andata proprio in questo modo: Lobotka ha giocato 35 palloni con l’86% di precisione; non ha solo servito appoggi brevi ed elementari, ma ha anche tentato per 5 volte il passaggio lungo. Il pallone è arrivato a destinazione in 4 di queste 5 occasioni.

Proprio quest’ultimo dato deve far riflettere: pur essendo un regista che organizza il gioco e la manovra muovendo il proprio corpo e il pallone sul breve, Lobotka si è adattato – pur senza snaturarsi completamente – al piano partita del Napoli. Per dirla brutalmente: quando è servito aprire il gioco alzando il pallone da terra, quando c’è stato da servire Petagna in verticale, lui l’ha fatto senza remore. Si è calato in questo nuovo sistema. Esattamente come accaduto a Jorginho una volta che è entrato in contatto con allenatori come Lampard o Tuchel.

Questo non vuol dire che Lobotka non abbia le sue caratteristiche, che renda sicuramente meglio in una squadra in cui il possesso è più sincopato, più sofisticato. Non a caso, come detto, Spalletti l’ha inserito per imprimere al match un controllo diverso, più ragionato. Ma la sua capacità di cambiare registro, di tentare (alcune) giocate diverse, deve essere un esempio per altri giocatori nella rosa del Napoli, quelli che fanno più fatica a convincersi che si può – anzi: si deve – provare a essere efficaci giocando anche in un altro modo. Andando oltre la propria comfort zone, per quanto consolidata.

Conclusioni

Spalletti credeva così tanto in questo cambiamento – quello da squadra diretta a squadra in grado di «costruire ripartenze veloci con i piccoletti», come ha spiegato lo stesso allenatore a Dazn – da inserire Mertens, Politano e Ounas al posto di Petagna, Lozano e Zielinski. Solo a quel punto il Napoli ha smesso di uscire, di ribattere colpo su colpo al forcing del Milan. Solo a quel punto la squadra azzurra ha dato l’impressione di soffrire un po’ gli avversari. Spalletti ha raccontato che «si è trattato di una scelta. Poteva essere giusta o sbagliata».

Quest’ultima frase, al netto dell’esito in sé dell’ennesimo cambiamento operato dall’allenatore toscano, è musica per le orecchie di chi scrive questo articolo, di chi gestisce – ormai da anni – questa rubrica. Perché il tecnico del Napoli si è – e si sente – completamente calato nei panni del piccolo chimico tattico, per ogni partita e dentro ogni partita rivolta la sua squadra come un calzino. Cerca sempre il modo migliore per ottenere il meglio dai suoi giocatori, da chi ha a disposizione. Questo non vuol dire che non possa sbagliare. Anzi: è già successo e succederà ancora. Ma la vittoria di Milano nasce proprio da questa voglia di sperimentare. È frutto del coraggio di provarci.

La vittoria non è solo quella ottenuta sul campo battendo il Milan. Per chi scrive è una vittoria anche aver recuperato – anzi: fatto rinascere – giocatori che sembravano perduti come Malcuit, Rrahmani, Lobotka, Ounas, Elmas, lo stesso Petagna. Anzi, i successi ottenuti quest’anno, soprattutto in un periodo d’emergenza come questo – il Napoli ha comunque vinto tre delle ultime sei gare disputate tra campionato ed Europa League – derivano proprio dalla volontà di affrontare, non di subire, le avversità. È quell’atteggiamento che ti fa vincere a Milano con merito, grazie alle tue idee, alle tue intuizioni. Grazie al lavoro di un allenatore.

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