Starnone: «L’educazione a essere maschio è stata spietata. Eppure somigliare alle ragazze ci avrebbe giovato»
A Sette: «A 13 anni una zia mi colse in una posa che le sembrò femminile e mi denunciò a mio padre. Cerco ancora di riportare in vita mia madre, non mi sono mai rassegnato»

Lo scrittore italiano Domenico Starnone (Kontrolab)
Su Sette una lunga intervista allo scrittore napoletano Domenico Starnone. Racconta la sua infanzia e la sua adolescenza, la fascinazione per i morti che lo accompagna da quando era bambino, la spietata educazione alla mascolinità, i genitori.
«Avevo ventidue anni quando, a sei mesi di distanza l’una dall’altra, morirono prima mia nonna, poi mia madre. Fui travolto dalla malattia improvvisa di mia madre e mi dimenticai di mia nonna, la lasciai andare. Mia madre invece cerco ancora oggi di riportarla in vita, non mi sono mai rassegnato».
Cos’è l’infanzia?
«L’infanzia è la stupefacente selva oscura delle parole. Vengono giù a pioggia dal mondo lontano, incomprensibile, degli adulti. È una pioggia esaltante ma anche minacciosa. Il maestro di prima elementare si presentò così: “Vedete? Questa è una bacchetta di ebano. Vi punirò per ogni errore o cattivo comportamento colpendovi sul palmo o sulle nocche”. Non ci disse mai cos’era l’ebano. Per molto tempo ho pensato che Ebano fosse il crudele proprietario della bacchetta».
Starnone dice di aver ricevuto una spietata educazione ad essere maschio.
«L’educazione a essere maschio è stata spietata. Avevo tra i dodici e i tredici anni, quando una sorella di mia nonna mi colse in una posa che le sembrò femminile. Si allarmò, mi disse: non si sta così e mi denunciò a mio padre. A me quella posa pareva comoda — mi appoggiavo una mano sul fianco — ma da quel momento mi spaventai e non l’assunsi più. Ci piacevano tantissimo le ragazze, ma dovevamo stare attenti a non prendere nemmeno un loro tratto. Cosa che, tra l’altro, forse ci avrebbe giovato».
Racconta i suoi genitori attraverso una foto:
«Nella realtà litigavano sempre. Ma nella posa della foto mia madre, che pure era la vittima preferita di mio padre, gli cerca affettuosamente — forse malinconicamente — una mano. Penso che si amassero infelicitandosi».
Cos’è la vecchiaia?
«Forse la vecchiaia è la scoperta che ormai gli altri ti guardano e ti trattano con una cortesia spassionata. O forse è la fine di ogni possibile equivoco. Qualche anno fa una ragazza, in autobus, per via di una frenata brusca mi ha dato un colpo violentissimo alla schiena e ha fatto per passare oltre dicendo: scusa. Poi mi ha visto in faccia e s’è corretta: scusi».
E alla fine arriva anche la domanda su Elena Ferrante: da tempo si sussurra che dietro la penna dell’autrice della trilogia de “L’amica geniale” ci sia lui. Lei è Elena Ferrante?
«No. E lei?».
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