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La differenza tra Spalletti e Sarri (e Gattuso) è che Spalletti ha un piano B

Non ha subito passivamente l’emergenza. Ha lavorato a un Napoli senza Osimhen (e Anguissa). Non a caso gli uomini determinanti sono stati Mertens e Lobotka (oltre a Fabian)

La differenza tra Spalletti e Sarri (e Gattuso) è che Spalletti ha un piano B
Napoli 28/11/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Lazio / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Il Napoli di possesso

Le persone che leggono questa rubrica sanno che la critica più insistita nei confronti del lavoro di Gattuso riguardava il suo modo di reagire ai problemi, ai cambiamenti, alle assenze. L’ex allenatore del Napoli ha effettivamente dovuto fare i conti con una lunga sequenza di infortuni, e per questo ha dovuto riscrivere il suo progetto tattico. Proprio in quelle occasioni, però, Gattuso ha mostrato di subire passivamente l’emergenza, non l’ha mai affrontata davvero, è rimasto ancorato a due o tre concetti che, proprio a causa delle assenze, non potevano più essere efficaci, funzionali. L’auspicio, da parte nostra, era che il suo successore si comportasse in maniera diversa. Che fosse in grado di assecondare una rosa forte e profonda ma anche ibrida, variando costantemente non solo gli uomini e i moduli, ma anche i principi che regolano il gioco di una squadra. Che poi sono la cosa più importante.

Le persone che leggono questa rubrica sanno che, fin dall’inizio di questa stagione, il nostro (nuovo) auspicio era che Spalletti pensasse di costruire un Napoli senza Osimhen. Non solo per prevenzione in caso di infortunio lungo – che poi, purtroppo, si è verificato – ma anche perché chi ha assemblato la rosa azzurra l’ha fatto senza prendere un’alternativa a Osimhen. Senza un elemento che giochi come il centravanti nigeriano – non al suo livello, sarebbe stato economicamente impossibile. Del resto, non è razionale pensare che un Napoli schierato con Mertens (o con Petagna) al posto di Osimhen possa giocare nello stesso modo. E Osimhen, sfortuna a parte, in ogni caso non avrebbe mai potuto disputare tutte le partite.

Ecco, contro la Lazio il nostro auspicio si è realizzato. Abbiamo visto un Napoli di possesso in grado non solo di assecondare, ma anche di esaltare Dries Mertens. Abbiamo visto un Napoli che ha verticalizzato in modo diverso, non nello spazio ma sulla figura. Così nasce e si materializza il netto e meritato 4-0 inflitto alla squadra di Sarri.

Un nuovo modo di verticalizzare

Il Napoli di Spalletti, lo sappiamo, è una squadra a due velocità. Ama costruire il gioco dal basso, ma verticalizza appena può. Finora questa scelta era stata fatta per dare a Osimhen il miglior contesto possibile, a costo di lanciare qualche pallone in più in avanti, di rendere più dirette e quindi – apparentemente – più episodiche le azioni offensive. Una settimana dopo l’infortunio del centravanti nigeriano, ed è evidente che in questi sette giorni la squadra azzurra abbia lavorato proprio su questo aspetto, Luciano Spalletti ha adattato questi principi di gioco a un nuovo contesto. A un nuovo sistema tattico, in cui Mertens gioca da prima punta pura, ma lo fa in maniera diversa rispetto al centravanti nigeriano.

La partita di Dries Mertens

Per capire cosa intendiamo basta consultare questa mappa, in cui ci sono tutti i 25 palloni toccati dall’attaccante belga. Pochini, in verità. Ma abbastanza per mandare completamente in tilt il sistema difensivo della Lazio. Come già accennato in precedenza, e si vede chiaramente anche da questa immagine, il Napoli ha cambiato modo di servire il suo attaccante: non l’ha fatto più nello spazio, piuttosto sulla figura; ha cercato di dargli modo di stoppare o smistare di prima la palla, non ha lanciato in modo che lui dovesse correrle dietro. Insomma, per dirla in maniera semplice e semplificata: il Napoli ha studiato e ha messo in pratica un nuovo modo di verticalizzare il suo gioco. Un modo che permette a Mertens di essere decisivo non tanto come finalizzatore, quello viene dopo, ma per i suoi movimenti e i suoi tocchi a creare spazi. Spazi utilissimi sé e per i compagni.

Il momento che cambia (e lancia) l’azione è il pallone verticale di Mário Rui per Mertens

Il video del primo gol del Napoli chiarisce perfettamente tutto ciò di cui abbiamo parlato finora. È autoevidente, quindi è semplicissimo da spiegare: su una rimessa laterale, il Napoli inizia a muovere il pallone dal basso e “richiama” il pressing della Lazio; gli scivolamenti degli uomini di Sarri sono fatti malissimo, la difesa non accompagna e così si libera una voragine tra la terza linea e il centrocampo; Mertens viene a occupare proprio quello spazio; Mário Rui verticalizza su di lui, sulla figura e non in profondità, e così la prima pressione della Lazio viene facilmente elusa; Mertens ha l’occhio e la qualità che servono per stoppare bene il pallone e girarlo verso Lozano; il messicano è in isolamento, può puntare il suo avversario diretto e crea una situazione di pericolo in area; Mertens è scaltro a farsi trovare laddove serve; Zielinski è a rimorchio e sfrutta il rimpallo.

Questa azione si ripeterà moltissime volte nel corso della partita. E infatti anche il secondo gol nasce da un tocco verticale su Mertens, che però non si gira, smista di prima all’indietro e fa muovere ancora il pressing disordinato della Lazio di Sarri; qualche istante dopo, è Fabián a trovare Insigne con un geniale passaggio lungo alle spalle di Patric, e Mertens è accanto al suo capitano per offrirgli lo scambio stretto; Insigne lo asseconda, poi il belga si inventa una serpentina da campione e infine batte Reina con un tiro sul secondo palo. Sembra un gol di pura qualità personale, e lo è sicuramente. Ma è anche frutto di una dinamica tattica studiata da Spalletti e attuata perfettamente dalla sua squadra. Dai suoi giocatori.

In questa azione ci sono almeno due o tre passaggi che tagliano le linee della Lazio come se fossero burro

L’uomo tra le linee

Questa tendenza (di Mertens) nel farsi trovare dietro le linee dell’avversario, nel linguaggio tattico contemporaneo, viene definita come ricerca della superiorità posizionale. Piccola e veloce spiegazione: per moltissimi anni, gli allenatori di tutto il mondo hanno cercato il modo per creare situazioni di superiorità numerica in diverse zone del campo. Questa locuzione – “superiorità numerica” – va intesa in maniera letterale, descrive cioè un momento in cui una squadra ha più giocatori rispetto all’altra in una determinata porzione del terreno di gioco. La nascita e l’affermazione del gioco di posizione di stampo spagnolo ha creato un nuovo modo di attaccare, che non si basa più su questo principio, piuttosto sulla ricerca di giocatori liberi – e quindi da poter servire – dietro le linee di pressione degli avversari. In questo modo, il possesso palla diventa il modo più sicuro ed efficace per risalire il campo, per portare molti giocatori in zona offensiva.

Il Napoli ha applicato questa strategia con Mertens, che è un maestro nel farsi trovare tra le linee, ma non solo con lui. Tantissime volte, infatti, i giocatori offensivi di Spalletti – Fabián Ruiz in occasione del terzo gol, Zielinski, Insigne – sono stati trovati dietro la linea di pressione della Lazio. In questo modo, i calciatori deputati alla costruzione dal basso – i due centrali, i due terzini e Lobotka – hanno costantemente trovato ciò che serviva per far ripartire velocemente l’azione. Vale a dire: l’uomo tra le linee da servire verticalmente. Che poi aveva tutto il tempo di girarsi e imbastire una nuova azione offensiva.

Come mandare a vuoto il pressing della Lazio e trovare Zielinski

Il Napoli ha costruito la sua vittoria così, cioè creando le condizioni che permettessero a Mertens di giocare bene. Ma si tratta di un discorso valido anche per altri suoi compagni. L’abbiamo detto in apertura: si è vista la squadra di possesso che avremmo voluto vedere senza Osimhen. Dopotutto: in quale sistema, se non in uno votato al possesso intensivo (la percentuale grezza di possesso palla è stata 62% Napoli e 38% Lazio), un giocatore come Lobotka può toccare il pallone per 150 volte (!) con una precisione negli appoggi pari al 97%? In quale sistema, se non in uno votato al possesso intensivo e poi alla verticalizzazione, Fabián Ruiz può mettere insieme 114 passaggi tentati, di cui 9 lunghi? Infine: in quale sistema, se non in uno votato al possesso intensivo e poi alla verticalizzazione, lo stesso Fabián Ruiz può completare 8 dei suoi 9 passaggi lunghi?

La Lazio di Sarri

Certo, anche la Lazio ci ha messo del suo. Anzi, la prestazione a dir poco scadente della squadra di Sarri ci permette anche di approfondire un punto importante, anzi fondamentale, per chi vuole scrivere e parlare di tattica calcistica – a Napoli e in generale. Vale a dire: il primato dei calciatori sulle idee degli allenatori. Per dirla in maniera semplice e forse anche brutale: Napoli-Lazio 4-0 evidenzia come e quanto sia importante avere determinati giocatori, ovvero giocatori con certe caratteristiche, per attuare determinate strategie tattiche. Come detto, ciò che ha permesso al Napoli di giocare bene è stata la perfetta aderenza tra ciò che è stato preparato in settimana, ciò che si è visto in campo e le qualità degli uomini schierati da Spalletti. Ecco, alla Lazio è mancato proprio questo. In fase offensiva, ma soprattutto in fase difensiva.

Non a caso, Sarri dopo la partita ha spiegato che la sua squadra «non ha reagito mai sulle trasmissioni, ma sempre sulle ricezioni»; che la Lazio «ha sbagliato tutti i tempi di pressione, lasciando sempre solo un centrocampista»; che i giocatori biancocelesti «hanno eseguito male tutti gli scivolamenti, e questo non ci ha permesso di controbattere al possesso del Napoli». Sopra abbiamo già visto alcuni esempi, eccone altri per capire di cosa parla Sarri:

Due passaggi per arrivare nella metà campo avversaria, in entrambe queste azioni

Cosa c’entra tutto questo col primato dei calciatori sulle idee tattiche degli allenatori? Semplice: la Lazio di Sarri è una squadra che non è (ancora?) adatta a difendere come vorrebbe il suo allenatore. Pedro e (soprattutto) Felipe Anderson sono giocatori che fanno fatica ad aggredire gli avversari e poi a rinculare in fase difensiva; la pressione portata da Luis Alberto e Milinkovic-Savic è troppo blanda; Luiz Felipe e (soprattutto) Acerbi non riescono ad accorciare il campo con continuità, ad accompagnare in alto i loro centrocampisti quando provano a difendere, e così la squadra risulta lunga, sfilacciata, facile da trovare impreparata. Soprattutto per chi, come il Napoli di ieri sera, possiede gli strumenti per giocare bene tra le righe.

Breve discorso sul (fu) Sarrismo

E allora veniamo a dama, anche con il passato. Il Napoli-di-Sarri, una squadra-brand con un gioco che lo stesso Sarri non è riuscito a riproporre in nessun’altra delle sue esperienze successive, va riletto in chiave storica e storiografica. Nel senso che l’allenatore toscano, tra il 2015 e il 2018, ha fatto un ottimo lavoro di campo, per lui parlano i risultati raggiunti e forse anche quelli sfiorati, ma resta il fatto che aveva a disposizione anche una squadra perfetta per il tipo di calcio che aveva in mente. Aveva Reina in porta, innanzitutto; Koulibaly e Albiol come centrali difensivi; Jorginho come pivote davanti alla difesa; Hamsik e Allan, e poi Higuaín, Mertens, Insigne, Callejón. Tutti giocatori abituati a pressare in avanti, ad accorciare il campo in fase difensiva e offensiva. E con grande qualità nel trattamento della palla.

Tutto questo per dire che il Napoli deve moltissimo a Sarri. Ma è anche vero che Sarri deve moltissimo al Napoli. Senza la squadra azzurra, senza quella rosa, il tecnico toscano non avrebbe potuto praticare il calcio che abbiamo visto al (fu) San Paolo per tre anni. Non avremmo visto il Sarrismo tattico di cui si è parlato (giustamente) in maniera entusiastica. Senza quella rosa, Sarri avrebbe dovuto scendere a compromessi, come ha fatto (giustamente, in maniera sacrosanta) a Londra e a Torino con Chelsea e Juventus. Oppure avrebbe dovuto vivere e patire un lungo percorso di costruzione come quello che sta vivendo – e che l’attende – alla Lazio. Un percorso che, viste le caratteristiche dei giocatori che ha a disposizione, passerà da altre sconfitte nette contro squadre forti e strutturate come il Napoli. O da un cambiamento di principi tattici.

Tutto questo lo sa benissimo anche lo stesso Sarri. Che, però, avrà ricevuto da Lotito carta bianca per il suo progetto. E la promessa di avere ciò che gli serve per portarlo avanti, ovvero molto tempo e dei significativi cambiamenti nella rosa. Altrimenti questo accanimento non si spiega: è disfunzionale, e porterà la Lazio a vincere solo contro squadre di qualità inferiore.

Conclusioni

Tutto torna, tutti i cerchi si chiudono: il Napoli di oggi è una squadra forte proprio perché il suo allenatore ragiona e si comporta in maniera diversa rispetto a quello della Lazio. Spalletti ha compreso fin da subito le aree in cui doveva lavorare per dare un’identità al suo progetto, poi ha capito che avrebbe dovuto variare molto – a partita in corso, di partita in partita – per assecondare la cosa che più va assecondata: le caratteristiche della sua rosa. Dei giocatori che ha a disposizione. Poi sono arrivati gli infortuni di Osimhen e Anguissa, ed è proprio questa la notizia migliore: il Napoli, contro la Lazio, ha dato la sensazione di aver lavorato a una nuova versione di sé, a un sistema senza i due migliori giocatori visti in questo avvio di stagione. E ha vinto la partita per 4-0. Un dettaglio tutt’altro che laterale.

Il fatto che Mertens abbia segnato due volte non è casuale. Il fatto che Insigne e Lobotka – come detto – abbiano offerto due ottime prestazioni non è casuale. Allo stesso modo, però, Spalletti ha saputo giocare col bilancino pure per dare a Lozano degli spazi da attaccare, per dare a Fabián la libertà di movimento che gli serve per dimostrare di essere ciò che è, vale a dire un giocatore speciale.

Oggi, finalmente, il Napoli è una squadra ibrida e che sa cambiare radicalmente il proprio volto. Che l’ha fatto molte volte e che proprio in virtù di tutto questo – e di una qualità complessiva che forse è inferiore solo a quella dell’Inter, e non è neanche certo – è meritatamente in testa alla classifica. Il fatto che sia tornata a esserlo in solitaria una settimana dopo gli infortuni di Osimhen e Anguissa è il segnale più significativo del cambiamento avvenuto. E di una forza che pochissime squadre, soprattutto in Serie A, potranno anche solo provare a contenere.

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