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Il New York Times: «Dopo il caso Peng Shuai, lo sport mondiale può fare a meno della Cina?»

“Vale ancora la pena fare affari in Cina?”. Dal calcio alla Formula 1 al tennis, quello che prima sembrava un el dorado ora è un mondo sempre più rischioso

Il New York Times: «Dopo il caso Peng Shuai, lo sport mondiale può fare a meno della Cina?»

Da un lato ci sono offerte di trasmissione redditizie, abbondanti opportunità di sponsorizzazione, milioni di nuovi consumatori. Dall’altro il rischio di compromissione dei valori, gli incubi delle pubbliche relazioni, l’atmosfera generale di opacità. Il New York Times, a rimorchio del caso Peng Shuai, si chiede con un pezzo in apertura dello sport: lo sport mondiale può fare a meno della Cina? Vale ancora la pena fare affari in Cina?

Per la maggior parte delle organizzazioni sportive – scrive il NYT – la presa di posizione durissima della WTA resta un’eccezione. Le organizzazioni sportive con partnership multimilionarie in Cina – che si tratti della NBA, della Premier League inglese, della Formula 1 o del Comitato Olimpico Internazionale – hanno per lo più messo da parte le preoccupazioni. Il Cio in particolare “è sembrato fare di tutto per evitare di far arrabbiare la Cina”.

Mark Dreyer, analista sportivo di China Sports Insider, con sede a Pechino, ha affermato che lo stallo della WTA con la Cina ha rappresentato un’escalation nella mentalità “loro o noi” che sembrava formarsi tra la Cina e i suoi rivali occidentali. Francamente, la Cina è un grande mercato, ma il resto del mondo è ancora più grande”, ha detto. “E se le persone devono scegliere, non sceglieranno la Cina”. Per alcuni esperti, quindi, la straordinaria decisione della WTA di affrontare la Cina frontalmente potrebbe effettivamente segnalare un punto di svolta piuttosto che un’aberrazione.

“Il calcolo è in parte politico, in parte morale, in parte economico”, dice Simon Chadwick, professore di economia sportiva internazionale presso la Emlyon Business School di Lione, in Francia. “Penso che ci stiamo rapidamente dirigendo verso il tipo di terreno in cui organizzazioni, aziende e sponsor saranno costretti a scegliere una parte o l’altra”.

Il tennis (femminile) ha minacciato di togliere alla Cina i tornei del suo Tour. Ma non sono i primi ad andare allo scontro con la Cina. C’è già passata l’Nba quando nel 2019, Daryl Morey, all’epoca direttore generale dei Rockets, twittò a sostegno delle proteste per la democrazia in corso a Hong Kong, e in un batter d’occhio una relazione che si era sviluppata in diversi anni è implose.

La verità è che lo sport non mollerà la Cina, scrive il Nyt. “Il Cio, che organizza le Olimpiadi invernali del 2022 a Pechino a febbraio, ha ignorato tutte le richieste dei critici affinché l’organizzazione rilasciasse dichiarazioni sulle violazioni dei diritti umani in Cina, incluso il trattamento delle minoranze religiose nelle regioni occidentali del paese. La Formula 1 questo mese ha annunciato di aver firmato un accordo per continuare il Gran Premio di Cina, una gara annuale a Shanghai, fino al 2025.

Tuttavia, “con l’aumento della tensione politica e le complicazioni di fare affari in Cina, ho visto più aziende concentrarsi sull’Europa e sugli Stati Uniti, dove la ricompensa potrebbe non essere così grande ma il rischio è molto inferiore”, ha affermato Lisa Delpy Neirotti, un consulente di marketing sportivo internazionale e direttore del programma di master in gestione sportiva presso la George Washington University.

Il Nyt fa l’esempio dell’Inter: prima nel calcio la Cina era vista “come una sorta di El Dorado”, ora “l’Inter è in crisi dopo che il suo proprietario cinese, Suning, un’azienda di beni di consumo, è stata travolta da una grave crisi finanziaria”.

“Quello che è successo per alcune organizzazioni sportive in Occidente è che non hanno trovato la Cina così redditizia come immaginavano, e hanno anche trovato la Cina incredibilmente difficile per farci affari”.

 

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