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Sabatini: «Non mi sono dimesso dal Bologna. Saputo ha deciso per la separazione» 

Al CorSport: «Devo tornare il prima possibile, anche emigrando all’estero se serve. Il calcio per me è come la follia del gioco di Dostoevskij» 

Sabatini: «Non mi sono dimesso dal Bologna. Saputo ha deciso per la separazione» 
Bologna 28/09/2020 - campionato di calcio serie A / Bologna-Parma / foto Image Sport nella foto: Walter Sabatini

Il Corriere dello Sport intervista Walter Sabatini, ex diesse del Bologna. Manifesta tutta la sua insofferenza: vuole tornare a fare il suo mestiere, rivuole il suo mondo fatto di calcio.

«Devo tornare presto, il prima possibile, emigrando all’estero se serve, andrei anche in Belgio. Sono insonne. Brucio. Non dormo mai prima delle quattro».

La definisce un’ossessione.

«Do le testate al muro. Il calcio è per me come la follia del gioco di Dostoevskij. Perdeva tutto, anche il cappotto. Restava sotto la neve in maniche di camicia e per tornare a casa si faceva mandare i soldi dalla moglie».

Giura che ricomincerà, ma che non cambierà i suoi comportamenti. E dichiara in modo fermo:

«Non mi sono dimesso dal Bologna. C’è stato un cortocircuito. Ho solo scritto a Saputo, dopo una brutta sconfitta in casa, dicendo che ero a sua disposizione per qualunque decisione volesse prendere. La mattina dopo è venuto in ufficio: è meglio che le nostre strade si dividano. Così mi ha detto».

Da quel momento non si sono neanche più sentiti.

Si definisce insopportabile («Caccio urla, strepiti per niente. Sono il primo censore di me stesso») ma giura anche che quando perde la calma si sente vivo.

«Sono assediato da consiglieri che mi scongiurano di stare calmo, ma io sono contento così, ho bisogno che le mie cellule esplodano. Mi sento vivo quando mi incazzo. Non voglio controllarlo. Sono sempre stato per il caos».

Insiste:

«Il mio sogno è pacificarmi con me stesso, tornare a praticare l’idea del calcio che ho in testa, ovunque questo sarà possibile».

Chiarisce la sua idea di calcio:

«Una squadra che abbia decoro, dignità e autostima, il talento giovane che serve. E un’umile ambizione. Una squadra senza ambizione è una squadra fasulla. La mia ambizione? Rendere felice la gente».

Parla anche di Mihajlovic, tecnico del Bologna. Lo definisce sensibile e tenero, anche se sembra strano, data l’apparenza, ma dice anche che dovrebbe lavorare sulle sue priorità, che indica:

«Quella di diventare un grande allenatore, non un allenatore invischiato in troppi luoghi comuni. Ha tutte le risorse intellettuali e di esperienza per scappare dai suoi cliché e diventare un grande. Parlo dei cliché che gli hanno affibbiato del sergente di ferro, dell’uomo che fa crollare gli spogliatoi e attacca i giocatori ai muri. Un grande allenatore non ha bisogno di scenate, ma di dire cose, contenuti».

C’è una domanda anche sull’Inter: lasciarla ai cinesi è stato un altro corto circuito?

«Ho fatto una grande cagata che un professionista non può fare per nessun motivo. Non mi perdonerò mai».

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