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Pizzolatto trasforma “The guilty” in un postmoderno “Delitto e castigo”

Solo su Netflix il remake che si ispira al film omonimo (2018) di Gustav Möller. La differenza la fa la sceneggiatura del fuoriclasse del genere thriller-poliziesco

Pizzolatto trasforma “The guilty” in un postmoderno “Delitto e castigo”
È tempo di remake ed a questa regola positiva si iscrive “The guilty” la nuova creatura del regista Antoine Fuqua – solo su Netflix dal 1° ottobre – che si ispira al film omonimo (2018) di Gustav Möller scritto da Emil Nygaard Albertsen. Ma questa nuova edizione ha la sceneggiatura del fuoriclasse del genere thriller-poliziesco, l’autore di Galveston e di True detective – Nic Pizzolatto – che inventa un palcoscenico teatrale che vede come unica quinta tre soli attori. Siamo nella centrale operativa telefonica del 911, il numero delle emergenze della polizia di Los Angeles e ad uno dei desk c’è il poliziotto Joe Baylor (Jake Gyllenhaal) che è lì parcheggiato – con altri due colleghi – perché sotto processo per l’omicidio di un diciannovenne. Joe ha una moglie Jess (Gaia Bolognesi) ed una bambina Paige che non può vedere e causalmente al centralino si trova immischiato – “ma certo tu sei una vera calamità per la merda”, gli dice il suo collega Rick al telefono – in una storia sordida.
Emily Lighton (Valentina Favazza) è stata rapita dal marito Henry Fisher (Francesco Bulckaen), mentre a casa rimangono i figli Abby e l’infante Oliver pieno di sangue. Joe in preda ad un’accelerazione quasi malata segue questa vicenda comunicando con Emily nel tentativo di distrarla dal marito violento: fa questo coinvolgendo il suo collega Rick (Emiliano Coltorti) – l’unico testimone a favore nel suo processo che si celebrerà il giorno dopo – e la stradale. Il tutto prende un ritmo ansiogeno, mentre i colpi di scena si rincorrono ribaltando il quadro narrativo.
In realtà la sapienza narrativa di Pizzolatto sta nella ricostruzione di un postmoderno “Delitto e castigo”, attuando un parallelismo tra le colpe di Joe e quelle ed Emily. Fa questo mettendo in primo piano le voci dei protagonisti – al telefono e non visibili – e quindi i doppiatori assurgono al ruolo di veri attori protagonisti. Così come le musiche curate da Marcelo Zarvos. In realtà Pizzolatto si interroga sulla sofferenza solitaria, radice che può generare la colpa e quindi il castigo. “Chi soffre aiuta chi soffre”. Ma, “soffrendo s’impara?”.
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