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Il Legia Varsavia la squadra dei militari, vi giocò anche il genio pacifista Deyna

I fischi a Deyna, autore dello storico gol che portò alla qualificazione mondiale, sono ancora oggi considerati una vergogna nazionale

Il Legia Varsavia la squadra dei militari, vi giocò anche il genio pacifista Deyna

Si fa quello che si può per galleggiare o vincere in Ekstraklasa, la massima serie del calcio polacco, sponsorizzata dalla banca PKO. Il Legia Varsavia, avversario del Napoli in Europa League e seconda squadra del campionato per fatturato dopo il Lech Poznań, vale meno della Salernitana, 26,73 milioni di euro, ovvero almeno 10 in meno rispetto alla compagine campana. Con le cifre fornite fornite da Transfermarkt, si può affermare che le due vittorie di fila del Legia nella fase a gironi dell’Europa League siano pesce fritto con l’acqua in tempi di capitalismo.

Eppure, prima del crollo del muro di Berlino esisteva un modo di diverso di gestire i trasferimenti dei calciatori nel paese lungo il fiume sulla Vistola. Benvenuti nel «calciomercato dei militari», in cui a farla da padroni erano soprattutto le forze armate della Repubblica Popolare di Polonia (1947-1989). D’altro canto, il pedigree militare del Legia è scritto nel nome stesso di una squadra nata nel pieno del primo conflitto mondiale quando lo stato polacco non era ancora riapparso sulla cartina politica dell’Europa. A fondare il club fu un gruppo di legionari polacchi che pugnarono ad Est contro l’impero zarista per conto dell’Austria-Ungheria.

Nel secondo dopoguerra quando la Polonia rifatta dai polacchi entra nell’orbita sovietica, il Legia resterà la squadra degli uomini in divisa, se non fosse che ai vertici militari c’erano adesso i generali di uno stato socialista. La principale finestra di mercato per le squadre dei militari coincideva con il periodo della chiamata alle armi dei giocatori più promettenti che venivano prelevati dalla concorrenza. Degna di nota la rivalità tra le squadre dei militari e quelle gestite invece da altre forze dell’ordine polacche d’antan. La Milicja Obywatelska, la polizia statale che con il corpo di paramilitari degli Zomo avrebbe represso nel sangue diverse proteste operaie, allora era dietro a club come il Wisła Kraków, affrontato dal Napoli in amichevole in trasferta l’estate scorsa. Nella contesa tra polizia ed esercito, ad accaparrarsi i pezzi migliori erano quasi sempre i primi. Un fenomeno che ben mostra quali fossero i rapporti di forza interni nella Polonia ai tempi del socialismo di stato.

A nulla valsero i tentativi del Gwardia Warszawa, altro club cittadino gestito però dalla polizia, di trattenere Roman Kosecki. L’attaccante polacco sarebbe approdato al Legia prima di una discreta carriera all’estero tra Galatasaray, Atletico Madrid e FC Nantes. La chiamata alle armi è servita a portare nella capitale polacca giocatori di talento come Ernest Pohl, Edmund Kowal oppure Lucjan Brychczy che avrebbe finito per allenare il Legia a più riprese. Allora il servizio di leva durava due anni ma gli “acquisti” della principale formazione della capitale venivano trattenuti a colpi di promozioni concesse a sportivi senza vocazione militare. Tra questi, oltre al già citato Brychczy, diventato generale, non si può non fare il nome del tenente e centrocampista Kazimierz Deyna, considerato uno dei più grandi calciatori polacchi in assoluto insieme a Lato, Boniek e Lewandowski.

Deyna fu tutt’altro che un militarista. Soltanto dopo diversi tentativi, cedette alla convocazione del Legia dopo essersi rifugiato a casa del fratello, nella città di Łódź, finendo poi per giocare una sola partita con la squadra locale del ŁKS. Alcuni in Italia lo ricorderanno per avere messo in ginocchio uno Zoff che batte rabbiosamente, non uno, ma due pugni a terra, per la rete del 2-1 della Polonia già qualificata sull’Italia nella fase a gironi ai Mondiali del 1974. Con un splendido tiro in corsa dal limite dell’area, Deyna avrebbe contribuito a sbattere fuori gli Azzurri da una competizione in cui si era esibita quella che forse è stata la piu forte nazionale polacca di sempre.

Molti altri in patria, invece, si ricorderanno di lui per il gol del vantaggio segnato direttamente da calcio d’angolo contro il Portogallo il 29 ottobre del 1977 davanti a ottantamila spettatori. La partita sarebbe finita 1-1 ma la rete di Deyna permise ai polacchi di qualificarsi anche al successivo Campionato del Mondo in Argentina. In quell’occasione, Deyna fu subissato di fischi dai suoi connazionali nello Stadio della Slesia a Chorzów. Si è speculato molto su un gesto che verrà poi considerato un’autentica vergogna nazionale dagli appassionati di sport in Polonia. C’è chi afferma che i fischi siano il risultato dell’invidia dei tifosi delle squadre slesiane come il Górnik Zabrze e il Ruch Chorzów   protagoniste storiche della massima serie in Polonia per non avere visto militare un mezzo genio come Deyna nel proprio club del cuore. In verità il capitano della nazionale polacca era anche un giocatore del Legia, la squadra della capitale polacca, simbolo dell’arroganza del potere centrale e dei militari che di lì a pochi anni avrebbero instaurato la legge marziale in Polonia.

Difficile anche se non impossibile allora lasciare la società sportiva dei legionari per tentare la propria fortuna in un campionato più prestigioso ad Ovest, in uno dei paesi della Nato. Al tenente Deyna, che in quel periodo poteva chiedere quasi tutto quello che desiderava, fu poi concesso di andare a giocare con il Manchester City in cambio di 100mila sterline, due amichevoli con il club inglese e una fornitura di materiale sportivo Adidas di dubbia qualità, almeno secondo fonti polacche. Senza dubbio i calciatori del Legia guadagnavano relativamente bene nel proprio paese, potendo beneficiare dei fondi concessi senza troppi filtri all’esercito dal potere centrale.

Gli anni Settanta erano poi i tempi in cui nella Polonia guidata da Edward Gierek a volte giravano in modo non troppo segreto anche i dollari americani. Del debito estero ci si cominciò a preoccupare a Varsavia quando ormai era troppo tardi. E si trattava pur sempre di un benessere relativo, ben lontano dagli standard occidentali di allora. Nonostante uno sconto del 50% offerto dalla Bmw, non tutti i giocatori della nazionale polacca riuscirono a comprarsi un’auto con i soldi messi in palio dal governo per il terzo posto conquistato nel 1974. E gli atleti degli altri club come venivano pagati nella Polonia socialista? Visto che lo sport professionistico ufficialmente non esisteva, i calciatori erano assunti in modo fittizio da una o più imprese statali che erogavano uno stipendio per delle mansioni mai svolte. Metalmeccanico, operaio edile o fabbro, poco importa. L’idea da trasmettere era quella che gli sportivi in Polonia dovessero guadagnarsi il pane con un vero mestiere come tutti gli altri cittadini. Lo stesso Zibì Boniek ha confessato di aver “svolto“ cinque professioni tutte insieme per racimolare la sua paga mensile ai tempi della sua militanza nel Widzew Łódź prima del suo trasferimento alla Juventus. Giochi di potere, operazioni di finanza creativa e salti mortali per pagare i calciatori. Da questo punto di vista, il calciomercato dei militari e del socialismo di stato non è affatto diverso da quello che conosciamo oggi.

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