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“Chi ha ucciso Sarah?”, più che un giallo, un romanzo psicologico ed identitario

Con un convincente lavoro sulla lingua, Andrej Longo ci porta negli anni ’80 napoletani con la loro temperatura ambigua nel rapporto con il denaro pubblico

“Chi ha ucciso Sarah?”, più che un giallo, un romanzo psicologico ed identitario

Capita raramente che si faccia una ristampa di un giallo e questo strano beneficio editoriale è occorso al romanzo “Chi ha ucciso Sarah? (pagine 132, euro 14; Sellerio, collana Memoria)” dell’ischitano Andrej Longo, che era stato pubblicato da Adelphi nel 2009. “Mio Dio un altro giallo napoletano!”, qualcuno potrebbe legittimamente obiettare, ma mentre si va avanti nella narrazione e si superano le barriere linguistiche pastiches dialettali si capisce che poi sotto sotto giallo non è: ma pienamente romanzo piscologico ed identitario.

Napoli, primissimi anni ’80, in un’estate afosa che rende molli i pensieri, una ragazza della Napoli ‘bene’ viene trovata uccisa nell’androne della sua casa sita in Parco Mastriani a Posillipo: la salma viene ritrovata dopo una segnalazione dalla strana coppia di poliziotti Cipriani-Acanfora. Il primo lombardo, il secondo di Torre del Greco: quest’ultimo cerca invano di serrarle gli occhi azzurri. Scattano subito le indagini nel palazzo e giunge sul luogo il commissario Santagata strana figura di dirigente che ha un cinquecento d’antan e si veste sempre di nero. Sembra che a causare la morte della ragazza sia stato un tubo di ferro: ma quelle che sconcerta è che nel palazzo nessuno abbia sentito o visto niente. Un professore cinquantenne di liceo separato da poco, un avvocato duro d’orecchie, una colf filippina ed il padre di un ingegnere. Paradossalmente solo il secondo – quello più anziano – ha sentito le urla, ma se n’è lavato le mani. Sarah aveva un ragazzo di buona famiglia con cui sarebbe dovuta partire per Capri in vacanza: ma poi rinuncia. C’è l’ex fidanzato de la Sanità – Genny Esposito – che torna da un passato recente dimenticato. Tutto sembra portare fuori strada Santagata che si serve di Acanfora – vera voce narrante – come suo alter ego anche nelle bevute di thè mascherate da whisky, mentre il Questore è sulla graticola per la sua carriera ed i politici vengono accompagnati nelle patrie galere per i fondi post-terremoto.

Con un convincente lavoro sulla lingua – a cui Longo ci ha abituato anche in “Dieci” – si entra ancora vivi in quegli anni ’80 napoletani con la loro temperatura ambigua nel rapporto con il denaro pubblico: le persone minime come Acanfora parlano cambiando gli ausiliari ai verbi ma riescono comunque a capire con la curiosità quello che gli gira attorno. Anche Sarah era curiosa: ma a Napoli anche questo aggettivo cambia significato e pone queste persone a rischio della vita, “ma uno non può campare così, facendo finta di non vedere quello che gli capita attorno”.

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