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Il tennis sgradevole di Medvedev, quello “tutto storto” che ha fatto piangere Djokovic

Il russo è famoso per essere brutto e antipatico, anche un filo razzista. Ma uno così nel circuito non s’era mai visto, e molti ancora non se n’erano accorti

Il tennis sgradevole di Medvedev, quello “tutto storto” che ha fatto piangere Djokovic
Melbourne (Australia) 18/01/2018 - Australian Open / foto Antoine Couvercelle/Insidefoto/Panoramic/Image Sport nella foto: Danill Medvedev ONLY ITALY

Il giochino, ora che non c’è più bisogno di googlarlo perché ha vinto gli Us Open (ed era pur sempre già il numero due al mondo), è mettere Medvedev nel traduttore dal russo, e vedere l’effetto che fa: “orso”. Che a suo modo è cognome, sostantivo e pure aggettivo d’un tennista che ha trionfato ma vive nell’ombra d’un oltraggio: ha tolto a Djokovic il Grand Slam, gli ha strappato dal cuore la leggenda, ha ridotto in lacrime quel che la letteratura tennistica raccontava come un cyborg. Ha vinto e tutti fanno finta quasi di no. Perché non può essere che “quello tutto storto” sia così forte. Medvedev, tocca farci i conti, è un campione sgradevole.

Per conformazione fisica e metodologia tecnica si presta a mortificazioni varie: ognuno ci vede quel che vuole, e in genere non sono complimenti. Esempio: Gaia Piccardi sul Corriere della sera lo descrive come “un moscovita dal tennis sghembo e imprevedibile, che pare uscito dalle pagine della grande letteratura russa: un Oblomov meno accidioso, ma ugualmente flemmatico”.

I suoi colleghi, pure, fino a poco tempo faticavano a farsene un’idea, erano spiazzati: Nishikori diceva che “gioca in un modo completamente diverso rispetto agli altri, il suo stile è davvero strano. Ti mette a disagio“; per Tsitsipas “ha un gioco molto strano. È davvero sciatto, ma una sciatteria… buona. Può essere disturbante giocare contro di lui: ti fa sbagliare senza che tu abbia capito perché hai sbagliato”. Lui stesso non si piace granché: “Quando vedo i miei video mi capita di dire “Ma cosa sto facendo?!”.

Visto che tutti i media prima della finale di New York l’hanno presentato frettolosamente come il re degli scacchi perché gioca a scacchi (“in realtà poi perdo”, ha detto lui) val la pena di approfondire meglio questa figura trasversale del tennis: non è elegante, non è particolarmente ardimentoso, non è stiloso ma nemmeno noioso; non è bello, ed è antipatico. E – di nuovo – è tutto storto. Il che, oltre un certo livello, in questo tennis tutto conforme, diventa il suo asso nella manica. Efficace, ecco. Medvedev è la definizione stessa di efficacia.

E’ alto come un’ala del basket ma è filiforme al limite della malnutrizione. Con la postura incurvata in avanti, i capelli effetto riporto impiegatizio, l’andatura dinoccolata. E’ disordinato, trasandato, snodato, scomposto. Ma tutta questa è percezione. Il campo dice un’altra cosa. L’ortodossia è una perversione che lascia agli altri.

Il dritto ha una preparazione asimmetrica, colpisce con impugnatura eastern, sembra sempre un frazione di secondo in ritardo. In realtà poi centra la palla con poco spin, quasi piatto e buca campo e traiettorie: rimbalzi bassi e veloci, asfissianti. Il rovescio bimane invece è da manuale, incisivo, veloce, pulito, con più soluzioni. Ha una battuta missilistica diretta derivazione della statura, che allena per sottrazione: “Faccio come se dovessi sempre annullare un match point con la seconda”. Se non ti divora l’ansia, alla lunga funziona. A meno che il pubblico non decida di fischiarti durante il servizio, e a quel punto non c’è tana delle tigri che tenga: due doppi falli di fila, che per poco non mandavano a ramengo l’impresa. Lì invece è intervenuta la testa.

Medvedev non è il pezzo di ghiaccio che a New York ha spezzato Djokovic nella tensione. Anzi. Ad inizio carriera dichiarava di volere essere il nuovo Safin, mentre gli altri lo ammiravano con dichiarato distacco: chi è quel tipo lunatico e inelegante? E’ stato forse il primo a lamentarsi delle pause bagno tattiche di Tsitsipas, prima che divenissero tema di dibattito regolamentare. Lui glielo rinfacciò direttamente in campo:

«Meglio che tu chiuda quella cazzo di bocca. Stefanos, vuoi guardarmi? Non parli? Te ne vai in bagno per 5 minuti, e poi non chiedi scusa per un net. Pensi di essere uno bravo?».

A Wimbledon aveva perso contro Bemelmans e s’era messo a lanciare monetine all’arbitro. E una volta, al Challenge di Savannah, si trovò a protestare contro Donald Young puntando il dito verso un giudice di linea di colore: “Lo so che siete amici voi due…”. Con una sobria allusione al colore della pelle. A New York lo odiano ancora perché nel 2019, in campo contro Feliciano Lopez, se la prese con un raccattapalle strappandogli l’asciugamani: il pubblicò fischiò e lui rispose col dito medio. Curiosità: il giudice di sedia era Damien Dumusois, lo stesso arbitro travolto dal pubblico buzzurro nella finale di ieri.

Essendo giocatore di scacchi, Medvedev ha registrato le informazioni e ha imparato la lezione: “Il campo da gioco non è il luogo per mostrare le emozioni, ma per dimostrare le proprie qualità”.

Piano piano sta ruminando il suo tennis inedito. Non ha solo tolto a Djokovic l’immortalità statistica, non s’è solo preso il suo primo Slam, ha creato un suo stile. Brutto, complicato, anche infame. Con geometrie variabili, illusioni, schemi perfettamente aderenti all’unicità di quei movimenti sgraziati. Sta a suo modo rivoluzionando il tennis con una terza via, sterrata. Tutta storta.

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