In altri Paesi la sua uscita sulla giornata contro l’omotransfobia lo consegnerebbe all’oblio politico. Da noi magari gli farà aumentare il consenso
Due giorni non sono passati invano. Il video di Vincenzo De Luca – l’ennesimo d’una faticosa carriera da stand up Governor (un po’ presidente di Regione, un po’ comico avanguardista) – in cui manda al diavolo i promotori eventuali d’una giornata contro l’omotransfobia alle elementari ha sedimentato. Tipo il compost.
L’abbiamo banalizzata, quell’uscita. Ridotta al lucro dell’indignazione social, privandola del suo valore contestuale e sostanziale. Se avevamo fatto fioretto di non commentare più le svirgolettate di De Luca, beh, amen: anche la rinuncia alla Nutella era finita malissimo.
E dunque andiamo al diavolo. Noi che “davvero pensiamo sarebbe ragionevole tenere una giornata contro l’omotransfobia alle elementari”. Non tanto perché lo pensiamo, e nel merito potremmo argomentare a profusione, no. Ma più che altro perché accettiamo che il terreno dello scambio sia questo: mandarci a quel paese, inferi compresi giacché De Luca è credente.
La premessa era stata illuminante: “Quando affrontiamo temi delicati come questo, occorre grande misura, grande senso di responsabilità”, aveva detto prima di sfanculare l’immaginaria controparte dialettica. Allo “sceriffo” non manca il gusto del divertissement. Quando ce vo ce vo.
Tra l’altro i più pignoli avevano fatto notare che lo “Zan” è un disegno di legge, e non un decreto come De Luca l’ha frainteso. Ma è spicciolame dialettico, non importa. Ciò che però resta, al netto della questione in sé, è il modo primitivo di affrontare il tema dei diritti, che lui stesso definisce per tic retorico “delicati”.
La sua svalutazione a ricatto morale (“poveri bambini, che cosa devono sentire quelle anime sante!”) è avvilente. S’avverte nel sottotesto lo schioccare delle bacchettate sulle mani, di troppe ore di religione spese a ripassare il catechismo, del reticolato papà-maschio mamma-femmina che non ammette conflitto con la realtà di bambini divisi a metà, di coppie sfaldate, compagni omosessuali. “Alle ultime classi del liceo sì” – dice De Luca – ma alle Elementari vi pare ragionevole? Chi siamo noi per traviare quelle menti immacolate privandole del loro diritto a sfottersi chiamandosi vicendevolmente “ricchione!”. E non sia mai. Si comincia così ed è un attimo a demonizzare il tradizionale nonnismo delle caserme, eh.
De Luca ha da tempo investito molto del suo successo elettorale sullo spettro della dissoluzione. “La movida dei giovinastri”, “i lanciafiamme” e “i cinghialoni”, ricorderete; c’è tutta una grammatica disponibile su Youtube per chi volesse. E ha intercettato la voglia di medioevo della gente, affascinata dal polso fermo dell’uomo solo al comando. Sul piano comunicativo, fino a quando non ha saturato i toni, era affascinante. Ora risulta a tratti imbarazzante, l’impostazione da “Wilma passami la clava”.
Si trovava, nell’occasione, alla Festa dell’Unità di Bologna. In una cornice teoricamente ancora avvinta dall’utopia del riformismo italiano (sinistra no, mo non esageriamo). E’ da quel palco che ha sgranato il rosario del perfetto democristiano non-convertito: “Certo che dobbiamo difendere i diritti, ma non è immaginabile che su questioni che hanno contenuti morali che vanno aldilà della politica noi ideologizziamo i problemi”. Per cui, di nuovo, “andate al diavolo”.
De Luca fa come suggerisce Jovanotti in un suo testo ispirato: se la gente mormora “falla tacere praticando l’allegria”.
Il problema è che non fa più ridere. Se di umorismo trattasi, comincia ad esser buono per una prossima Repubblica di Gilead. Dal suo punto di vista funziona: lì, nella Gilead italiana, si raccolgono voti da maggioranza bulgara. Quello è il bacino di Salvini (che lui odia quasi quanto le mamme anti-Dad) e Meloni. De Luca fa finta di non saperlo, ma insomma. Altrove, dove ancora sopravvive il senso della dignità politica, uno strappo del genere lo consegnerebbe all’oblio. Qui invece passerà all’incasso. Perché la pancia del Paese – si dice così – si esprime esattamente così.
“Io il decreto Zan così com’è non l’avrei votato”, ha pure detto. Dimostrando di non sapere com’è davvero. Perché il ddl non prevede alcuna obbligatorietà di celebrazione di alcunché. All’articolo 7 si che chiede di istituire la Giornata nazionale contro l’omofobia, la bifobia, la lesbofobia e la transfobia, è vero. Ma come ha spiegato lo stesso Zan “l’articolo “si inscrive in un quadro segnato dal principio di autonomia scolastica, che è generale e si applica a tutte le scuole, pubbliche e private”. Il comma 3 dello stesso articolo precisa che le eventuali attività saranno organizzate “nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa”.
Ma non equivocate, non è quello il punto. Il merito delle cose non è mai il punto. E’ il circo, la scenografia, il rumore. La frazione umida del dibattito. Che fermenta, e puzza. Sono passati due giorni dall’ultima hit di De Luca, e no, il tanfo è ancora là.