Nella lettera agli azionisti della Juve la “vision” del presidente: le polemiche su Dazn? Anacronistiche, i giovani non la guardano nemmeno la tv. L’attacco alle istituzioni del calcio
Andrea Agnelli scrive agli azionisti della Juventus. Una lettera in cui il presidente bianconero delinea la sua “visione” dei massimi sistemi calcistici, almeno nella porzione che riguarda da vicino il presente e il futuro del club bianconero: l’economia, le strategie, e l’immancabile Superlega. Una lettura non proprio scontata, a tratti anche un po’ eccentrica.
Agnelli scrive che negli “ultimi 10 anni” la Juve ha avuto “uno straordinario sviluppo della Società in termini di ricavi, affermazione del brand nel panorama globale, infrastrutturale (Stadium e Village), progettualità sportiva (Women e U23) e di organico”.
I conti in rosso, le previsioni di bilancio disastrose sono solo un prodotto della pandemia: “I danni causati sono stati ingenti. Intere linee di ricavo sono scomparse da un momento all’altro, mentre la base dei costi è rimasta immutata”. Soprattutto se tra i costi c’è la voce Cristiano Ronaldo. Ma tra le righe, volendo, si può leggere anche una piccola autocritica:
“Il calcio, abituato nell’ultimo ventennio a crescere in doppia cifra in modo totalmente inelastico rispetto a tutte le crisi che hanno, nello stesso periodo, colpito l’economia e la società, ha sviluppato al proprio interno un’eccessiva fiducia che si è tradotta in un’eccessiva confidenza con il rischio”.
“Le opportunità fornite dalla rivoluzione digitale possono certamente contribuire ad avvicinare questi giovani. In questo senso, il dibattito e le critiche sulla fruizione delle partite “live” con mezzi diversi dalla tv tradizionale sono anacronistici e destinati a scomparire. Nel mondo digitalizzato l’utente ha un potere di scelta enorme, che non può essere ignorato e, pertanto, egli sceglierà in base alle proprie inclinazioni e ai valori che lo rappresentano”.
Sempre che riesca a vederle, le cose che sceglierà.
E dunque la Superlega. Agnelli ripete i concetti cardine della rivoluzione mancata. E visto che la gente gli aveva rinfacciato di voler creare una competizione a inviti, ecco il capolavoro per ribaltarne il senso:
“un nuovo concetto di meritocrazia sportiva, concetto che non può basarsi esclusivamente sulle performance domestiche in ossequio a equilibri geopolitici e commerciali che dovrebbero rimanere estranei all’essenza dello sport”.
Tradotto: per Agnelli quella derivante dai campionati nazionali non è vera meritocrazia, perché è limitativo dover competere nei confini nazionali. Se la Juve non conquistasse la qualificazione Champions in Italia, non è mica detto che cambiando gli avversari le cose non andrebbero diversamente. Insomma, ad Agnelli va stretto il concetto stretto di Stato, almeno in ambito sportivo, ecco.
Il finale è dedicato a un non meglio precisato “dialogo politico” che non può trascurare – anche – le esigenze degli “investitori, che assumono tutto il rischio imprenditoriale dell’industria calcistica”.
Gli stessi che da un paio d’anni chiedono aiuti di Stato e ristori piangendo miseria.