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Storia di Bruno Pesaola, l’argentino più amato dopo Maradona

Catenaccio, sigarette, il cappotto di cammello. Ma anche tanti trofei nella vita del Petisso e uno storico secondo posto sulla panchina del Napoli

Storia di Bruno Pesaola, l’argentino più amato dopo Maradona

Il 28 luglio 1925 nasceva ad Avellanada, a sette chilometri dalla capitale Buenos Aires, Bruno Pesaola, detto il Petisso, ovvero colui che potrebbe essere tranquillamente definito l’argentino più amato dai Napoletani dopo Diego Armando Maradona.

Eppure, nonostante il compianto Pesaola abbia trascorso a Napoli gli anni più significativi della sua vita (prima nelle vesti di calciatore per ben otto stagioni, poi di allenatore, ruolo che ricoprì addirittura in quattro periodi differenti, e infine in quelle di commentatore televisivo, dal momento che lo stesso decise di stabilirsi a Napoli una volta terminata la carriera agonistica), quello tra la città partenopea e il Petisso non fu il classico “colpo di fulmine”, considerato che l’argentino arrivò a Napoli per la prima volta ben cinque anni dopo il suo arrivo in Italia, datato 1947, e che lo vide approdare alla Roma, società in cui rimase per tre anni prima di essere ceduto in prestito al Novara di Eraldo Monzeglio e Silvio Piola, dove trascorse altre due stagioni.

Terminata l’esperienza alla società piemontese, fu prelevato, nell’estate 1952, dal Napoli, dove ritrovò Monzeglio come allenatore e arrivò in coppia col più famoso e acclamato Jeppsonn, diventando negli anni a seguire, uno dei calciatori simbolo della squadra. Durante i suoi otto campionati trascorsi a Napoli, Pesaola ha disputato in maglia azzurra ben 240 incontri (nove dei quali nel nuovo impianto di Fuorigrotta, inaugurato proprio durante la sua ultima annata napoletana), regalando molte gioie e soddisfazioni ai tifosi partenopei, tuttavia senza mai lottare concretamente per qualcosa di importante, visto che in quegli anni il Napoli non riuscì ad andare oltre il quarto posto in classifica, ottenuto in due occasioni: nella stagione 1952/53 e in quella 1957/58, rispettivamente primo e sesto anno di Pesaola in azzurro.

Lasciato il Napoli, all’età di 35 anni, il Petisso giocò per una stagione con il Genoa mentre in quella successiva passò alla Scafatese (in quarta serie), dove ricoprì il duplice ruolo di calciatore-allenatore, iniziando in questo modo, la sua nuova avventura di tecnico. L’esperienza di Scafati, tuttavia, durò soltanto fino a gennaio, in quanto l’allora dirigente del Napoli (nonchè futuro Presidente) Roberto Fiore, convinse il “Comandante” Achille Lauro a puntare proprio su Pesaola come nuovo allenatore degli azzurri che, a seguito della retrocessione in B dell’anno precedente, si ritrovarono nei bassifondi della classifica anche nel campionato cadetto.

L’arrivo dell’argentino in panchina, al posto dell’esonerato Bandi, invertì la rotta e il Napoli non solo riuscì ad ottenere a fine anno la promozione in Serie A, ma conquistò anche una storica vittoria in Coppa Italia, storica per ben due motivi: è stato il primo trofeo in assoluto vinto dalla squadra partenopea e, ad esclusione della prima edizione vinta dal Vado (edizione che, però, vedeva la partecipazione soltanto di squadre dell’Alta Italia e che, a seguito della scissione incorsa all’epoca all’interno della Federazione, non contemplava nemmeno la presenza delle squadre più blasonate), è stata l’unica volta che una squadra che non militava nel massimo campionato è riuscita ad aggiudicarsi la Coppa!

L’anno successivo il Napoli, guidato da Pesaola e Monzeglio (con quest’ultimo che gli fu affiancato in qualità di Direttore Tecnico dal momento che l’argentino non era in possesso dell’abilitazione per allenare in A), retrocesse nuovamente in B (retrocessione che, seppur indirettamente, diede ancora più lustro all’impresa dell’anno precedente, dimostrando che il Napoli vincitore della Coppa Italia non era ancora una squadra attrezzata per il massimo campionato) e raggiunse i quarti di finale in Coppa delle Coppe, disputando ben nove gare in tre turni: all’epoca, infatti, non erano previsti i tempi supplementari tantomeno esisteva la regola del gol in trasferta pertanto, in caso di parità al termine del doppio confronto, si disputava una terza gara di spareggio e il Napoli fu l’unica squadra nel corso della competizione ad andare allo spareggio tre volte su tre, vincendo i primi due con Bangor City e Ujpest Dozsa ma soccombendo nel terzo con l’OFK Belgrado.

A fine stagione, a seguito della retrocessione in B, della dura contestazione dei tifosi nonché della difficile convivenza con Monzeglio, Pesaola lasciò la panchina degli azzurri, salvo farvi ritorno dopo appena un anno (e una breve esperienza alla guida del Savoia), riprendendo nuovamente il Napoli in cadetteria e riportandolo, per la seconda volta, in serie A. Tornato in massima serie, il Petisso rimase sulla panchina dei partenopei per altre tre stagioni, conducendoli al terzo posto (alle spalle di Inter e Bologna e davanti a Fiorentina e Juventus) e alla vittoria della Coppa delle Alpi (trofeo vinto precedendo in classifica proprio i bianconeri di Heriberto Herrera grazie ad uno “stratagemma” escogitato durante l’ultima gara del torneo dallo stesso allenatore del Napoli il quale, prima dell’inizio del secondo tempo, con la sua squadra in svantaggio di una rete, fece diffondere dagli altoparlanti la notizia non veritiera del contemporaneo vantaggio della Juventus al solo fine di stimolare la reazione in campo di Omar Sivori che, nella ripresa, guidò gli azzurri alla rimonta e alla vittoria della Coppa…) nella stagione 1965/66, al quarto posto in quella successiva e al secondo posto (piazzamento raggiunto per la prima volta nella storia della squadra Napoletana) nel campionato 1967/68.

Lasciato, per la seconda volta, il Napoli, fu ingaggiato come tecnico della Fiorentina alla cui guida vinse lo scudetto (il secondo e, finora, ultimo titolo della storia viola) al primo anno, seguito da un quarto posto, a pari punti col Milan, nella stagione successiva mentre venne esonerato nel mese di gennaio durante il terzo anno (venendo sostituto da Oronzo Pugliese, famoso per aver ispirato il personaggio di Oronzo Canà nel famoso film “L’allenatore nel pallone”).

Conclusa, dopo due anni e mezzo e uno scudetto vinto, l’esperienza sulla panchina dei gigliati, e trascorso oltre un anno di inattività, Pesaola si accasò al Bologna, dove restò per quattro stagioni vincendo una Coppa Italia (secondo successo personale dopo quello conquistato dodici anni prima col Napoli e, a tutt’oggi, ultimo trofeo vinto dai felsinei se si esclude la vittoria in Intertoto conseguita nel 1998).

Al termine della sua avventura bolognese, nel 76/77 tornò, per la terza volta, sulla panchina del Napoli, restandovi però soltanto per una stagione, durante la quale vinse la Coppa di Lega Italo-Inglese e condusse i partenopei fino alle semifinali di Coppa delle Coppe (risultato raggiunto per la prima volta nella storia azzurra), vedendosi negata la possibilità di accedere alla finale a causa della discussa direzione arbitrale nella gara di ritorno contro i campioni in carica dell’Anderlecht, da parte del fischietto inglese Sir Bob Matthewson (che, tra l’altro, svolgeva la professione di rappresentate del marchio di birra Belle-Vue, di proprietà proprio del presidente dell’Anderlecht, nonché sponsor della stessa squadra belga…).

Seguirono altre due stagioni alla guida del Bologna (subentrato alla sesta giornata nel campionato 1977/78 ed esonerato a gennaio in quello successivo), una stagione ad Atene sulla panchina dei greci del Panathinaikos (con cui si classificò al terzo posto, a pari punti con l’Aek Atene e a soli due punti di distanza dalla coppia di testa composta dall’Aris Salonicco e dall’Olimpiakos, con quest’ultima che in seguito si aggiudicò il titolo di campione di Grecia vincendo lo spareggio-scudetto mentre la squadra di Pesaola guadagnò l’accesso all’allora Coppa Uefa vincendo, a sua volta, lo spareggio con l’Aek) ed una fugace esperienza in C1 alla guida del Siracusa (subentrato e a sua volta esonerato in una stagione che vide i siciliani cambiare ben quattro volte guida tecnica e retrocedere, a fine anno, in C2), prima di tornare, per la quarta volta, al capezzale di un Napoli che si trovava in una situazione di classifica veramente disastrata (all’ultimo posto dopo undici giornate); subentrato in corsa, in coppia con Gennaro Rambone, in luogo dell’esonerato Giacomini, il tecnico argentino riuscì nell’impresa di salvare i partenopei, scongiurando una retrocessione che ad un certo punto della stagione appariva davvero inevitabile.

Dopo un’ultima esperienza in panchina alla guida del Campania in Serie C1 (anche in questa occasione subentrò a stagione in corso, al posto dell’esonerato Giorgio Sereni che, appena due anni prima, per poco non condusse i biancorossi ad una storica promozione in Serie B…), Pesaola pose termine alla sua lunga carriera di allenatore, durante la quale, come visto, ha conquistato due promozioni dalla B alla A col Napoli, due Coppe Italia (una con il Napoli, militando in Serie B, e una col Bologna), un titolo di campione d’Italia con la Fiorentina (titolo che gli è valso anche la conquista del Premio “Seminatore d’Oro”), una Coppa delle Alpi col Napoli (più una persa in finale alla guida della Fiorentina) e una Coppa di Lega Italo-Inglese (anch’essa col Napoli), oltre ad aver condotto, per la prima volta nella sua storia, la squadra azzurra ad un secondo posto in classifica e ad una semifinale di una coppa europea, ad aver ottenuto, sempre con i partenopei, una “miracolosa” quanto insperata permanenza in Serie A ed aver sfiorato la vittoria del campionato greco con il Panathinaikos, ottenendo col Napoli risultati (Coppa Italia, secondo posto in Serie A e semifinale europea) che nessuno aveva mai conseguito prima di lui, mentre a Firenze (scudetto) e a Bologna (Coppa Italia) che nessuno ha più conquistato dopo di lui.

Altri allenatori, per molto meno, vengono spesso osannati/celebrati alla stregua di “eroi”, il Petisso, invece, soprattutto dalle ultime generazioni, viene ricordato principalmente per il “catenaccio”, per il suo caratteristico cappotto di cammello e per le tantissime sigarette che era solito fumare (anche in panchina).

Terminata la carriera di allenatore all’età di sessant’anni, come già detto, rimase a vivere a Napoli, dove sovente veniva invitato, in veste di commentatore-opinionista, in numerose trasmissioni televisive, restando, fino alla fine, un grandissimo tifoso/appassionato del Napoli e di Napoli (tanto da conseguire la cittadinanza onoraria e da definire se stesso “un Napoletano nato all’estero”); si è spento, nella sua città adottiva, a quasi novant’anni, il 29 maggio del 2015.

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