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Le vedove di Monaco 72: “dimenticati perché israeliani, poi la grande gioia”

L’intervista a Repubblica: “Il Cio ci ha sempre ignorate, piegandosi ai paesi arabi. Il minuto di silenzio lo ha voluto Bach che era atleta a Monaco”

Le vedove di Monaco 72: “dimenticati perché israeliani, poi la grande gioia”

Nella cerimonia di inaugurazione di Tokyo 2020, per la prima volta dopo 49 anni c’è stata una commemorazione degli atleti israeliani uccisi nell’attentato palestinese di Monaco ’72. Un evento storico, sollecitato più volte dai familiari delle vittime e dai sopravvissuti. Oggi Repubblica intervista Ilana Romano moglie di una delle vittime. Insieme ad Ankie Spitzer (altra moglie rimasta sola) lotta da anni per avere un minuto di raccoglimento per quegli atleti dimenticati.

«Ci siamo sentite dire più volte: “I morti si piangono nei cimiteri, non alle Olimpiadi”. Ma io e Ankie abbiamo girato il mondo, da un’Olimpiade all’altra, a nostre spese, per incontrare chiunque fosse disposto. Una volta abbiamo chiesto a Jacques Rogge: “Ma se si fosse trattato di un altro Stato, vi sareste comportati così?”. Ci ha risposto “Forse no”. È stato così umiliante constatare come la politica possa calpestare i valori sportivi. Ma noi non ci siamo arrese».

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«Il minuto di silenzio è arrivato come un sogno inaspettato. Avevo 26 anni quando promisi alle nostre tre figlie che nessuno si sarebbe dimenticato chi erano loro padre e i suoi compagni. Ancora non ci credo, temevo che avrei lasciato questo fardello alle mie figlie».

Una battaglia iniziata nel 1976.

«Nel 1976 siamo andate alle Olimpiadi di Montreal, per noi era scontato che ci sarebbe stata una commemorazione. Invece nulla. Il Cio si è sempre arreso all’opposizione dei Paesi arabi. L’apice della battaglia è stato alle Olimpiadi di Londra nel 2012, nel quarantennale dal massacro. Allora diversi parlamenti nel mondo, tra cui quello italiano, hanno osservato un minuto di silenzio in ricordo delle vittime. Ma abbiamo continuato la nostra battaglia perché il riconoscimento avvenisse sul suolo olimpico».

E’ stato Bach a volere la commemorazione.

«Ci ha fatto capire che voleva mettere da parte le assurde logiche politiche. Lui è uno sportivo, era a Monaco nel ’72 come atleta. A Rio ha promosso per la prima volta una commemorazione all’interno del Villaggio Olimpico, un primo passo. L’abbiamo incontrato di nuovo a Losanna l’anno scorso, insistendo nuovamente sul minuto di silenzio. Ha detto che ci avrebbe pensato e poi non abbiamo più saputo nulla. Nonostante i timori per il Covid, abbiamo deciso di venire a Tokyo per la consueta commemorazione che organizziamo con la delegazione israeliana. Poi ci è arrivato un invito alla cerimonia inaugurale. Abbiamo pensato che fosse qualcosa di particolare, considerata l’esclusività dei Giochi quest’anno, ma non avevamo dettagli. Come inizia la cerimonia, Ankie mi dice “Ho la sensazione che non accadrà nulla neanche stavolta”. Improvvisamente, una stretta allo stomaco: si apre la cerimonia e vengono ricordati i nostri cari».

Un momento di commozione.

«Abbiamo sentito che venivano ricordate le vittime israeliane di Monaco e come noi l’hanno sentito miliardi di persone al mondo e questo per noi è quello che conta, per non dimenticare, perché non si ripeta».

Commenta la decisione di Bach.

«Penso Bach abbia preso la giusta decisione che andava presa 49 anni fa e non per politica: sono stati uccisi sulla terra olimpica, erano degli sportivi, per questo era dovere del Comitato onorarli. Trovo così sbagliato mischiare sport e politica. Ma continua a succedere: ancora il judoka algerino non ha voluto gareggiare con l’israeliano».

 

 

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