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Le Olimpiadi anni 80 della Rai: un solo canale, internet non esiste

Contano solo gli italiani in gara, tutto si ferma quando c’è il Tg2. Mentre su Discovery c’è la nuova frontiera dello sport in tv: un far west di eventi poco mediati, con lo spettatore regista unico

Le Olimpiadi anni 80 della Rai: un solo canale, internet non esiste

Da quella curva potrebbe spuntare Alberto Cova. Alzeremmo la cornetta, con l’indice che s’infila nel disco e scarrella tutti i numeri dallo zero al nove, per chiamare gli amici: “Oh hai visto la televisione?”. Quando la televisione era quella e basta, e snocciolava le gare olimpiche una alla volta, col contagocce. La realtà riproducibile era in soluzione unica. Internet non l’avevano ancora inventata, men che meno i tablet, o gli smartphone. Era praticamente il 2021 della Rai.

A meno di formalizzare il 35esimo abbonamento streaming – stavolta con Discovery – le Olimpiadi di Tokyo per gli italiani sono una Delorian volante: un solo canale, Rai Due, con una regia frenetica che cerca di rimbalzare tra mille gare spesso in contemporanea nel tentativo schizofrenico di non perdersi niente perdendosi quasi tutto. Niente giochi su Raiplay, e nemmeno su Raisport (che si chiama così per un motivo che ci sfugge…). Persino la radio, con “tutta l’olimpiade minuto per minuto”, si può ascoltare solo sintonizzandosi sull’FM. Il web non esiste. D’un tratto la tv pubblica italiana ha abbracciato l’ascetismo. Vanno ora in onda i Giochi reazionari.

Una scelta economica, pura e semplice: non potendo competere con i milioni di Discovery, la Rai s’è rappresa e ha deciso di rinunciare anche ai diritti dello streaming. Come se oggi il mondo non viaggiasse così, sui binari d’un finito pacchetto dati. S’è barricata in un ospizio comunicativo, rivendicando il suo vecchio pubblico: Fantozzi che faticosamente risistema l’antenna per garantirsi una visione dignitosa, o giù di lì. Tutti chiusi in casa, perché solo lì c’è il monolite, il televisore. Una visione analogica della vita. 

Ne vien fuori un pastone indistinto: duecento ore a spezzatino, ogni tanto un pit stop col tg olimpico, e alla sera – quando la famiglia si riunisce nel focolare domestico, “tutti a tavola!” – lo special riassuntivo. Nel frattempo, a cadenzare il corso degli eventi una linea editoriale comprensibilmente sovranista – il target di riferimento è quel che è – “Italy first”. Per cui se ci sono atleti azzurri in gara non esiste altra gerarchia: il softball batte USA-Francia di basket; salti da una sciabolata ad un doppio fallo di Musetti, per passare al volley, per tornare in differita al doppio di tennis, ma c’è il judo e quindi la batteria del nuoto ce la spariamo coi “riflessi filmati”.

A meno che non scocchi l’ora del sacro Tg2. Allora non c’è oro che tenga, perché dobbiamo pur sapere cosa accade nel mondo. Ha una sua logica: nell’universo parallelo della Rai lo spettatore non scrolla continuamente i social sul telefonino, per tenersi aggiornato, aspetta il tiggì. E così domenica la finale per il bronzo del fioretto femminile è finita in differita, perché era suonata la campana delle 13. Accumulando un ritardo a catena: l’assalto di Alice Volpi copriva la medaglia di bronzo del pesista Mirko Zanni. E via così.

Le Olimpiadi ultra-mediate della Rai sono il contraltare dell’altra frontiera: Discovery, appunto. Che è come un far west: trasmettono tutto, ma proprio tutto, con poca organizzazione. Lasciano all’abbonato – pagante – la regia degli eventi. Decine di finestre, pochi commenti. Per gli impallinati di sport vari è una specie di porno. La vastità del mezzo in tutta la sua potenza. Come a segnare un distacco multigenerazionale, persino da Sky che era una via di mezzo.

Il proliferare delle piattaforme – Sky, Dazn, Netflix, Prime Video, Discovery, Disney+, Apple+, eccetera – ha innescato un comprensibile rifiuto emotivo del consumatore. La Rai lo ha intercettato, suo malgrado, sovietizzando la visione dell’evento più frastagliato dello sport. Avrebbe persino potuto farsene un vanto, un claim, ribaltando del tutto le polemiche. Vendendosi come paladini dell’all inclusive: non dovete fare niente, pensiamo a tutto noi. Gratis. Ha invece perso la grande occasione di lanciare definitivamente Raiplay con un piccolo sforzo finanziario, ingaggiando il telespettatore stanco di distribuire oboli in formato abbonamenti alle altre piattaforme. Un lampo di miopia disarmante.

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