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“The Mauritanian” è l’antidoto ad una democrazia puramente formale

La vicenda di Mohamedou Ould Slahi, internato a Guantanamo con l’accusa di essere uno dei reclutatori dei dirottatori che hanno causato tremila morti

“The Mauritanian” è l’antidoto ad una democrazia puramente formale

Ha avuto una genesi difficile “The Mauritanian” il film di Kevin Macdonald che solo da pochi giorni può vedersi in Italia su Prime Video, ma forse un giorno i cittadini di qualsiasi parte del mondo, guardandolo, potranno trovarci l’antidoto ad una democrazia solo puramente formale.

Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti guidati da George W. Bush e da Donald Rumsfeld prelevano un cittadino mauritano Mohamedou Ould Slahi (Tahar Rahim) e lo internano a Guantanamo a Cuba accusandolo di essere uno dei reclutatori dei dirottatori degli aerei che portarono a quelle 3000 morti nel territorio americano: ma non formalizzano queste accuse trattenendo e torturando Slahi che perde anche il nome in carcere venendo sostituito da un numero arabo (760).

Due avvocatesse Nancy Hollander (la sempre stupefacente Jodie Foster, Golden Globe per quest’interpretazione) e la giovane Teri Duncan (Shailene Woodley) si incaricano pro bono di questa difesa che le espone agli strali della destra patriottica. Contro avranno Stu Couch (Benedict Cumberbatch) la pubblica accusa militare, un uomo stretto tra il fatto di avere perso un amico su quel maledetto aereo e la sua fede nel diritto ed in un cristianesimo che crede che la dignità umana sia inalienabile. Il film è la narrazione di questo rapimento di stato che ha prodotto Guantanamo: “costruita non per i terroristi ma perché i carcerieri tenessero nell’ombra i testimoni”.

L’Habeas corpus, la libertà d’informazione, il diritto ad un processo, dopo l’11 settembre gli USA dimenticano la Costituzione e lo Stato di diritto comportandosi in questo frangente come uno Stato terroristico. Con la forza dei suoi diari – da cui è stato tratto il film e che hanno prodotto in un secondo momento il best seller “12 anni a Guantanamo” – Slahi si fa testimone della sua vicenda e sconfessa le confessioni carpite con le torture.

Gli States hanno un problema con la respirazione: una guardia mentre sta torturando il mauritano gli dice: “Non osare respirare!”. E qui risuona nella memoria la vicenda di George Floyd: pietra d’inciampo per uno Stato che ha problemi anche con i suoi cittadini. Qui non c’entra né destra, né sinistra – né repubblicani, né conservatori – c’è in giro per il mondo un fantasma che nega il diritto e la democrazia. Che nega il “The man in me” della sigla finale di Bob Dylan. È questo fantasma che va combattuto nella vita reale evitando nuovi ed inediti pogrom basati sul terrore, la paura ed il sospetto.

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