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L’Italia di Mancini spazza via la cultura del chiagni e fotti: “siamo forti e vinceremo”

Un approccio inedito, controculturale. Coraggioso. Perché se dovesse andare male, apriti cielo. Mancini e la sua Nazionale se ne fregano

L’Italia di Mancini spazza via la cultura del chiagni e fotti: “siamo forti e vinceremo”

A leggere il muso lungo di Daniele De Rossi che guardava Insigne, accasciato al suo fianco, e poi Ventura che s’ostinava a tenerlo lì spiaggiato, con l’Italia che implodeva – anno 2017 – nessuno avrebbe ipotizzato di vederlo giocare a padel con Roberto Mancini ct, in tv, con delle antiaderenti, quattro anni dopo. Per lanciare mediaticamente l’avventura di Euro 2020, ma nel 2021. Tralasciamo l’impronosticabilità della pandemia. E’ lo stacco netto, dimensionale, tra i due contesti a stravolgere malamente la nostra percezione della Nazionale. Cos’è tutto questo ridanciano ottimismo, questa allegria preventiva che mal si addice ad un popolo abbarbicato ai testicoli ogni volta che gli si propone l’ipotesi d’un successo? L’Italia – c’è da diventar matti – non si nasconde più. Vincere? E vinceremo, hai visto mai che.

Si fa una certa fatica a sintonizzarsi con questa politica dell’entusiasmo, dopo decenni di sfiga auto-imposta, reiterando ad oltranza il chiagni e fotti come fosse un esercizio ginnico, uno standard di preparazione come le ripetute. Un’operazione simpatia, w anche operazione coraggio, che ovviamente potrebbe di qui a pochissimo produrre mostri, ove mai le cose sul campo dovessero andare male. Ma intanto sbandierare ai quattro venti che l’Italia punta – e pensa di meritare con una certa scioltezza – la finale è una rottura col passato, con l’italianità tradizionale, con la cautela. Un po’ di mestizia, che non guasta mai. Una ribellione: non è vero che vinciamo solo sott’assedio, come nell’82 o nel 2006.

Anche gli inglesi – James Horncastle su The Athletic – hanno registrato “un approccio inedito, quasi controculturale”. Smarriti, si capisce benissimo, nel vedere messi in fila i napoletani Donnarumma, Immobile e Insigne in ordine di altezza decrescente a cantare Cos Cos Cos.

Una strategia della distensione, chiaramente ispirata al nostalgico ricordo di Italia 90. Come a riprendere un filo interrotto, una spensieratezza, che pure avevamo messo lì da qualche parte in questo durissimo lockdown del calcio azzurro ufficializzato appunto dalla mancata qualificazione ai Mondiali 2018.

Ma è non solo questo. Mancini s’è costruito, fin da subito, una barricata ideologica, con claim ben definiti: l’Italia giovane, veloce, possibilmente spettacolare, proiettata al futuro più che a parare i colpi del passato. Un’apertura d’orizzonte che dal campo, piano piano – e molto abilmente sul piano commerciale – è passata, aiutata dai risultati.

“Spero che questa Nazionale possa far divertire i tifosi italiani ai prossimi Europei. La Nazionale nelle grandi competizioni è stata sempre un collante: anche nei momenti difficili ha portato entusiasmo tra la gente. Sta andando tutto molto bene”.

Questa dichiarazione di Mancini, tutto sommato banale, lava via tutta la ruggine della retorica abituale. Quella, per capirci, dell’impronunciabilità dello “scudetto” e delle altre parole-chiave del successo. Un’ostentazione di fiducia quasi inedita, molto poco italiana.

Mario Sconcerti ha scritto sul Corriere della Sera che “parteciperemo, saremo attivi, nessuno potrà sottovalutare l’Italia. Perché gioca bene. Ha idee e ha le capacità per gestirle. Ci sono state Nazionali più forti, questa è la prima senza i blocchi delle grandi squadre, è un affresco messo insieme con mille soffi di pittura diversa”.

Non Kean ma Raspadori, in estrema sintesi. Potrebbero farne uno slogan quasi politico. La rivoluzione dell’euforia, a dispetto delle crepe caratteriali. Una scommessa ma nemmeno troppo. Non per altro come immediato riferimento iconico (e pericolosamente iconoclastico) è spuntato Paolo Rossi, battendo in volata Totò Schillaci. E’ psicologia spicciola: rielaborare i rimpianti vintage, riportarne alla memoria la leggerezza, ripulita dalle scorie.

Magari poi le cose andranno malissimo (eccolo, il vecchio vizio, tocchiamo ferro) ma intanto la Nazionale spensierata e propositiva paga: vale 90 milioni l’anno, in crescita costante. Ed alimenta un circuito virtuoso, almeno fin qui è trascinante. In un’ambientazione del genere vale tutto, anche lo show trash sulla Rai. Non stona. È coerente. E spariglia: Conte che con l’Inter in fuga si rifiuta di parlare di scudetto è più ridicolo della Nazionale abbigliata “come i cattivi di James Bond”. Già questa è una vittoria.

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