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Tre anni fa, Mourinho lo prendemmo noi

Lo Special One a Roma ci sbatte in faccia il nostro essere periferia. Noi che ci eravamo illusi con Ancelotti e la svolta europea di De Laurentiis. Appunto, illusi

Tre anni fa, Mourinho lo prendemmo noi

Mourinho alla Roma è un terremoto nel calcio italiano. Per ora, certamente mediatico. Poi, si vedrà cosa accadrà sul campo. Bisogna stare attenti a bollare come negative le sue due ultime esperienze, soprattutto quella al Manchester United dove ha vinto la Supercoppa (il Community Shield), la Coppa di Lega e l’Europa League. Quest’anno, dopo tre stagioni, Solskjaer potrebbe eguagliare il suo secondo posto di tre stagioni fa. Invece non è mai entrato in sintonia col Tottenham che era stato plasmato da Pochettino a sua immagine e somiglianza.

Possiamo comprendere le ragioni di chi lo considera démodé, però Mourinho è qualcosa in più rispetto a un allenatore. Soprattutto per un club con una nuova dirigenza che probabilmente è molto interessata a una ricostruzione che non sia soltanto tecnica. Mourinho è l’uomo che ha costruito il Chelsea di Abramovich, è l’uomo che ha posto le basi per un club che fosse vincente nel tempo, per quasi un ventennio. Affidarsi a Mourinho, farne l’ambasciatore della Roma, è una cartina di tornasole dell’ambizione dei Friedkin. Vuol dire che c’è una visione, che c’è un orizzonte di grandeur. Poi, questo è ovvio, nel calcio come in qualsiasi settore tutto può accadere. Roma resta una piazza particolare, dove il calcio è vissuto in maniera fideistica. Più di Napoli.

Mourinho è un incendio nella piazza romanista, come del resto lo è nel calcio italiano. È un catalizzatore di energia. È come se da oggi pomeriggio l’universo romanista avesse inserito il turbo. Basti pensare al più 26% del titolo in Borsa: sospeso per eccesso di rialzo. Poi, ripetiamo, si può pensare – è lecito farlo – che sia l’equivalente di Ronaldo e Ibra, ossia un altro tassello nel processo di invecchiamento del nostro calcio. Potrebbe anche essere, vedremo.

Quel che però oggi non possiamo non pensare noi napolisti, è che tre anni fa c’eravamo noi nei panni dei tifosi della Roma. Tre anni fa, fu il Napoli a piazzare il colpo Mourinho. Fu Aurelio De Laurentiis a incarnare i Friedkin. Sbrogliò l’intricata matassa Sarri estraendo dal cilindro Carlo Ancelotti. All’epoca credemmo, forse ci illudemmo, che dietro quel colpo ci fosse una strategia. Una strategia di ampio respiro, oseremmo dire europea e per europea intendiamo anche quel che poi è accaduto con la Superlega. Quando guardammo quello spot con Ancelotti che consegnava le maglie del Napoli ai tifosi a Milano, pensammo che il processo fosse definitivamente partito. E un processo, ovviamente, ha i suoi fisiologici momenti di crisi. Sono quelli che determinano la tua dimensione futura. Se li superi, imbocchi una strada, altrimenti ti ritrovi in tutt’altra direzione.

E quel momento di crisi De Laurentiis, e quindi il Napoli, non lo ha superato. Esplose fragoroso con l’ammutinamento ma le basi vennero gettate prima, quando le idee di Ancelotti non vennero sposate dalla società. De Laurentiis non si fidò, non se la sentì di uscire in mare aperto, tenne insieme vecchio e nuovo. I 91 punti e il calcio verticale. E così il Napoli è rimasto dilaniato. Ormai è passato tanto tempo, ciascuno ha la propria idea. Abbiamo avuto un altro allenatore che dopo diciotto mesi è a fine corsa. Di quel progetto, o di quel che noi credemmo un progetto, non è rimasto più niente.

Tre anni fa, ci illudemmo con l’Europa, ci siamo cullati nel sogno battendo due volte il Liverpool, giocando alla pari col Psg, oltre a essere arrivati secondi in carrozza. Un secondo posto che venne considerato un mezzo fallimento. Viene da ridere pensando a quel che succede oggi con un bel po’ di persone che si affannano nel tentativo – invero grottesco per non dire patetico – di spacciare il quarto posto per il triplete. Oggi, tutto è cambiato. Siamo stati catapultati in un altro mondo. Siamo al veleno, alla settimana tipo, a un quinto posto contrabbandato da impresa, a un allenatore che deve essere costretto al silenzio altrimenti non si che cosa possa dire, in Europa sbattuti fuori dal Granada quando ancora vomitiamo bile per l’eliminazione ai quarti – giocati male, questo sì – dall’Arsenal finalista. Dopo un settimo posto in campionato (la classifica per cui Ancelotti venne esonerato).

Succede così. Quando ci si incammina lungo un piano inclinato, che prende il nome di declino, è impossibile accorgersene. Sembra di stare sempre alla stessa quota. Sembra. Poi la Roma prende Mourinho e di colpo tutto appare in bianco e nero. Tutto sembra invecchiato. Tutto sembra periferia. Pronto, ci sentite da qui?

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