È un habitus mentale che non riusciamo a dismettere, che ci predispone alla sconfitta, che in fondo ci rasserena
Napoli e i suoi tifosi si libereranno mai dalla sindrome di accerchiamento e del complotto? È inutile abbozzare la risposta, la conosciamo tutti.
Sì, domenica il gol di Osimhen poteva essere serenamente convalidato. La spinta c’è, ma appare lieve, blanda, non tale da squilibrare Godin. Appare. L’arbitro Fabbri ha deciso diversamente, molto probabilmente ha sbagliato. E Mazzoleni c’entra ben poco. Ma Mazzoleni è sempre il diavolo. Sempre lo sarà. Resteranno imperiture le macchie di Pechino e di Milano in occasione dei buu di San Siro a Koulibaly.
Tutto questo, però, si traduce in un deficit. L’idea, radicata, che in campo si perda (o si pareggi) perché una manina – o una manona – stia lì a deciderlo, è molto più che un alibi. È il virus della inconscia rassegnazione che da tempo si è insinuato e ormai convive serenamente con noi. Ci predisponiamo alla sconfitta così come la sera ci predisponiamo al divano. Tutto il mondo ce l’ha con noi, come se non avesse altro da fare nella vita. È così da anni. Da decenni. E così sarà per sempre.
È lo stesso metro che consente di archiviare con naturalezza, persino con fastidio, gli episodi a favore che pure quest’anno ci sono stati. Perché, pur quando sono ammessi (il che accade molto di rado), rientrano in una compensazione che mai potrà nemmeno dimezzare la riserva di torti subiti.
Come tutto, anche il vittimismo o la tendenza al vittimismo è un abito che si indossa. Più lo si indossa, più aderisce con perfezione, più lo sentiamo nostro. Senza, proviamo quella sensazione di nudità. Un meccanismo mentale che di fatto non presuppone la liberazione. Perderemo sempre ma sappiamo perché. Anche se dovessimo tutt’al più lasciarci sfuggire una banale Champions da cui vorremo presto uscire per goderci finalmente la nostra settimana tipo. Concetto che fa perfettamente il paio col mondo infame che h24 trama contro di noi.
Non che il calcio sia un universo pulito. E non che le altre società si comportino tanto diversamente. Qui stiamo ragionando di altro. Stiamo ragionando di un approccio che di fatto scagiona la squadra, il club, l’ambiente, il Napoli. Che è un modo come un altro per accettare il mancato raggiungimento dell’obiettivo.
Magari, se proprio il Palazzo avesse voluto farci fuori, sarebbe bastato concedere quel rigorino al Milan nel finale di qualche settimana fa a San Siro. E ci fermiamo a quest’esempio. Ce ne sarebbero anche altri. Nelle classifiche degli errori arbitrali, il Napoli è ai primi posti tra le squadre maggiormente beneficiate. Non ci addentriamo nel fact-checking ma sono notizie che dovrebbero essere salutate con giubilo. L’abito fa il monaco, oppure come diceva una vecchia professoressa: “nella vita bisogna darsi un tono”. E magari vantarsi di godere di qualche favore arbitrale. Provare a svestire quei vecchi abiti che tanto ci piacciono. Anche se poi, con quegli abiti perdiamo sempre. Chissà se qualcuno riflette mai su quest’aspetto.