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I commenti a Bayern-Psg simboleggiano quell’esterofilia a priori che ha stufato

In dissenso napolista. Non ha senso paragonare la sfida tra le finaliste Champions e la Serie A. Real-Barcellona non è stata così dissimile da Juventus-Napoli

Lo spettacolo che Bayern Monaco e Paris Saint-Germain hanno offerto nel doppio confronto di Champions League ha esaltato critici e appassionati. Molti dei quali ne hanno approfittato per evidenziare le differenze col calcio italiano, denigrando la proposta settimanale in favore della coppa. Meno male, verrebbe da dire, perché se la competizione che raccoglie le migliori squadre europee (e quindi del mondo) non offrisse uno spettacolo degno di coloro che la compongono, non varrebbe tutto quello che vale. E subito emerge la prima grande contraddizione: è naturale che la selezione delle migliori formazioni d’Europa, peraltro quando siamo giunti ai quarti di finale del torneo, dia origine ad un prodotto elitario e di conseguenza differente a quello che guardiamo di settimana in settimana.

Se n’è fatto anche un discorso culturale: la filosofia internazionale votata all’attacco e così via. La realtà però offre anche un altro punto di vista, più tangibile. Il Bayern Monaco e il Paris Saint-Germain, finaliste della scorsa edizione della Champions, sono anche la terza e la settima per ricavi annui, in entrambi i casi superiore ai 500 milioni. Sono inoltre le uniche squadre dei rispettivi campionati a rientrare tra le prime dieci di questa classifica, come la Juventus (10°) è l’unica italiana. Real Madrid e Barcellona sono le prime due, il resto sono tutte inglesi. La normalità dunque ci dice che in un campionato che non sia la Premier League, soltanto una o due squadre hanno una potenza economica fortemente superiore alle altre, e possono quindi dotarsi più facilmente dei migliori giocatori in circolazione.

La sfida del Parco dei Principi è stato anche un pretesto per attaccare Daniele Orsato, l’unico italiano sceso in campo insieme a Kean, che però è entrato soltanto per il quarto d’ora finale. L’arbitro, che ha diretto in modo praticamente impeccabile la scorsa finale proprio tra queste due squadre, è stato autore di una chiamata imprecisa e questo ha fatto sì che venisse travolto nel lamento crescente di chi non ha ben chiaro che la Champions non può avere metri di paragone (se non magari le competizioni omologhe degli altri continenti) o di chi guarda la Serie A con i paraocchi, convinto che faccia schifo a priori. O entrambe le cose, che comunque non si escludono.

In mezzo tra le due sfide c’è stato il Clasico tra Real Madrid e Barcellona. Al di là della potenza economica, che ribadisce quanto “ricco” e “migliore” sia una correlazione sempre valida nel pallone, è stata una partita gradevole, gonfiata giustamente dall’importanza delle due squadre e per la corsa ai vertici della Liga. 14 tiri per il Real Madrid, di cui solo tre in porta, 18 per il Barcellona di cui solo quattro nello specchio. 31-69% di possesso palla in favore degli ospiti, lo splendido gol di Benzema, il raddoppio madrileno su una punizione deviata e un bel colpo di tibia di Mingueza per riaprire la gara. Dati che, spiace sbatterlo in faccia, non sono assolutamente dissimili da Juventus-Napoli: 12 conclusioni per i bianconeri (3 in porta), 14 per gli azzurri (4 in porta); più equilibrato il possesso palla (46-54%). Per quanto riguarda la qualità delle reti, il gol di Cristiano Ronaldo nasce da una meravigliosa invenzione di Chiesa, il secondo di Dybala è un piccolo saggio di precisione, poi il rigore di Insigne. Il colpo di tacco di Benzema resta imbattibile, ma per il resto? Il solito garbuglio di esterofilia convinta, che forse andrebbe inquadrata un po’ meglio, anche soltanto per imparare ad apprezzare il nostro calcio. La Champions offre qualcosa che nessun campionato è in grado di dare. La Serie A sarà probabilmente in ritardo rispetto ad altri paesi, ma non per i motivi espressi con certe sterili lagne.

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