Riaffiorano vaghi e sfumati ricordi di un tempo lontano. Per fortuna, tutto sta tornando nei ranghi. Come quel Napoli-Juve con Dirceu e De Rosa
Stagione 1983-84, arriva al San Paolo la Juventus capolista di Trapattoni Platini e Boniek. È la partita dell’anno. Allora, epoca pre-Maradona, battere la capolista e battere la Juventus equivaleva a salvare la stagione. In quel caso, Juve e capolista combaciavano. Ci fu il record d’incassi: 839 milioni. Finì 1-1. Il Napoli sfiorò persino la vittoria, con due legni colpiti da Dirceu e De Rosa due con cui il destino non è stato generoso.
Altro flashback. Che stavolta ci porta in un’epoca cui non riusciamo a offrire una collocazione temporale. Ma il condivisibile stupore per le due sfide tra Bayern e Psg – all’insegna de “un altro calcio è possibile” – ci hanno riportato a un tempo lontano, con ricordi sfocati. Eppure deve essere esistito.
Il tempo in cui il Napoli ha affrontato per due volte il Psg di Mbappé, Neymar, Di Maria, Cavani, Verratti. Giocò alla pari, per non dire meglio. Finì 2-2 a Parigi, con una vittoria che sfuggì al 93esimo perché Di Maria si accanì con una ragnatela che resisteva da troppo tempo all’incrocio dei pali. E finì 1-1 a Napoli, con tante occasioni nella ripresa. Due pareggi e in entrambe le occasioni tanti rimpianti. Noi contro il Psg dei marziani.
Deve essere stato certamente tanto tempo fa. Ipotizziamo all’inizio del secolo scorso. Si narra di un tackle in scivolata di Koulibaly su Mbappé al San Paolo, con il pubblico – allora c’era il pubblico – che reagì con un boato come se si trattasse di un gol. Qualcuno si azzarda a dire che Maksimovic fu tra i migliori in campo. Noi non gli crediamo.
Addirittura – ma qui siamo al tentativo di circonvenzione – qualcuno si azzarda a dire che tutto questo sarebbe avvenuto poco più di due anni fa. Noi alla pari col Psg che ha eliminato il Bayern e lo scorso anno ha giocato la finale di Champions. E che oggi viene celebrati dai media italiani come portatori di un calcio da noi impensabile.
Chissà cosa dev’essere accaduto. Di certo, ci sentiamo tutti più al calduccio così. Siamo rientrati nella comfort zone. Vuoi mettere un quinto posto contrabbandato come un’impresa? Figuriamoci se si dovesse entrare in Champions. Con tutto quel che è capitato al Napoli.
Deve averlo compreso anche il presidente De Laurentiis che, dopo un decennio di diversità (e quindi di eccellenza), ha finalmente imboccato il processo di identificazione con la città. “A testa alta” ha scritto dopo la sconfitta con la Juventus più scarsa dell’ultimo decennio. Oggi leggiamo che ha minacciato di denunciare tutti in Lega, più o meno come dieci anni fa prima di salire su un motorino di passaggio. La diversità stanca. Comprendiamo. La debolezza si evince anche dal silenzio stampa. Giustissimo date le condizioni, non abbiamo cambiato idea. Ma somiglia tanto ai desideri delle persone gelose che vorrebbero chiudere il partner o la partner a chiave a casa. Diciamo che non è risolutivo.
Non sottilizziamo. Godiamoci il ritorno nella nostra dimensione, ovviamente con più velleità rispetto a quell’ultimo anno pre-Maradona, con Santin in panchina (prima dell’esonero). E domenica casca a fagiolo l’arrivo dell’Inter capolista. Magari la battiamo, oppure pareggiamo con due pali. E ci godiamo il tripudio mediatico. Si sta così bene nel calduccio di casa.