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Cottarelli: «Il libero mercato nel calcio non funziona. Se pensi che sia un’azienda normale vai a sbattere»

L’economista a La Stampa: «La Superlega è un atto arrogante da parte di club che pensavano di controllare il calcio a loro piacimento. Il calcio è dei tifosi. L’urgenza è il tetto salariale per i giocatori»

Cottarelli: «Il libero mercato nel calcio non funziona. Se pensi che sia un’azienda normale vai a sbattere»

La Stampa intervista l’economista Carlo Cottarelli, ex direttore esecutivo del board del Fondo Monetario Internazionale. Il tema è quello della Superlega.

«La nobiltà per diritto di nascita al posto del merito. Volevano riportarci a prima della Rivoluzione francese, ma hanno fatto male i calcoli, perché i tifosi, che poi sono i loro clienti, vogliono altro. Il libero mercato nel calcio non funziona».

Definisce il progetto SuperLega

«Un atto arrogante da parte di club che pensavano di controllare il calcio a loro piacimento, senza fare nessuna altra considerazione. Né emozionale, né culturale. E direi nemmeno economica: la reazione popolare che si è scatenata ci dice che a non volere quel prodotto è prima di tutti chi avrebbe poi dovuto acquistarlo. Se cent’anni fa avessimo fatto la Super League, ora vedremmo ogni settimana Genoa-Pro Vercelli».

La cosa più pressante, secondo Cottarelli, è mettere un freno alle richieste dei calciatori in tema di salari.

«Credo che l’urgenza sia il tetto salariale per i giocatori. Vede perché nel calcio il libero mercato non regge e il tentativo di trasformarlo in un’azienda come le altre è fallito? In qualunque altro settore, nessuna azienda pagherebbe stipendi che non può permettersi: altrimenti secondo un principio di mercato fallirebbe, cosa che invece nel calcio non accade. Qui subentrano la passione, il sogno di vincere e acquistare le star. E così si accumulano i debiti. Per questo il calcio deve darsi delle regole: tetto agli stipendi e alle commissioni degli agenti. E scommettere sull’azionariato popolare».

Il modello da seguire è quello del Bayern.

«Il modello da copiare c’è: il Bayern Monaco vince e ha i conti in ordine. Non a caso non è a fine di lucro e non ha una proprietà americana che bada al profitto come quasi tutti i promotori della Super Lega. Il Bayern è controllato dai tifosi attraverso l’azionariato popolare: è la strada per tenere insieme gli aspetti emozionali e la sostenibilità. Il mecenate da solo non ce la fa più, allora facciamo comandare davvero i tifosi».

Tutti devono rimettersi in discussione, nel mondo del calcio.

«Tutti devono rimettersi in discussione, a partire dai club per la gestione e dai calciatori per gli stipendi. Ma la lezione è chiara: il calcio è dei tifosi, senza di loro non si decide. Mia figlia tifa West Ham. L’inno dice: “I’m forever blowing bubbles”, cioè “soffio sempre bolle di sapone per aria”. Il calcio europeo è questo. Se pensi che sia un’azienda normale, vai a sbattere».

 

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