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Conte sta vincendo lo scudetto col Crotone e non ce n’eravamo accorti

«Venire qui è stata la scelta più difficile». Lo scudetto con l’Inter come Le tigri di Mompracem. Come se Suning non gli avesse comprato 250 milioni di giocatori

Conte sta vincendo lo scudetto col Crotone e non ce n’eravamo accorti
(foto Hermann)

L’Unicef, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Ale Cattelan, Steven Zhang, la Lega Serie A, la Nazionale, Javier Zanetti, Pippo Inzaghi, Ciro Ferrara e John Terry. Sembra l’agendina di Gianni Minà (“Fratelli Taviani, Little Tony Toquinho, Troisi”) e invece oggi la celebrità funziona al contrario, meno te ne fili più figo sei: quelli sono gli undici profili che Antonio Conte segue su Instagram. Su questo dettaglio social la Gazzetta dello Sport ha scritto un pezzo di trenta righe, nel quale leggiamo tra l’altro che “Conte vanta oltre 427mila follower e posta come allena. L’attenzione sacra è al gruppo, al noi”.

A dispetto dell’agiografia corrente – la beatificazione di Conte è un fenomeno che monta con la classifica dell’Inter – Antonio Conte sta teatralmente costruendosi in queste settimane la sacralità dell’io. Un’intervista dopo l’altra, sbandando da uno studio tv all’altro, riformulando sempre gli stessi concetti, con crescente fierezza e padronanza del medium fino ad ottenere il riconoscimento personale del miracolo incombente. Sì va bene, la squadra, i ragazzi, il gruppo. Ma tutto gira attorno al suo sacrificio, all’investimento emotivo e professionale su un’avventura che lui continua a raccontare come un romanzo di Salgari. Lo Scudetto con l’Inter come Le tigri di Mompracem.

L’altro giorno, ad esempio, ha dettato in sala stampa:

“Venire qui è stata la scelta più difficile. Io mi metto sempre in gioco e in discussione e l’Inter è stato il non plus ultra in questo senso. Avevo moltissimo da perdere, ma vado sempre avanti e ad abbattere i muri con la testa che rimane sempre dura”.

Nella condiscendenza degli astanti tutti, Conte ha praticamente venduto il suo passaggio in nerazzurro come un avventato colpo di testa, un salto nel vuoto, un’esotica scommessa da carrierista incosciente. Il “non plus ultra”… L’Inter, mica il Benevento.

Zhang deve essergli grato non solo perché Conte l’ha inserito nel suo best-undici di Instagram, ma anche perché ha preso l’Inter e l’ha trasformata in Campione d’Italia in due anni, lasciando la moltiplicazione dei pani e dei pesci ad altri più esperti. Magnanimo.

Conte e i suoi derivati, il suo staff, costano 23,5 milioni di euro l’anno, all’Inter. Il 41% in più dell’anno precedente, quando non vinse nulla.

Ora che i risultati lo sorreggono, è passato alla giusta rivendicazione dopo una stagione e mezza trascorsa a stressare se stesso, la squadra, i suoi uomini mercato, i dirigenti, i tifosi. Ora può narrare il lieto fine:

«Per un decennio non c’è stata storia in Italia. L’Inter ha cambiato i valori, i giocatori meriterebbero più considerazione. Tante critiche alla squadra hanno scatenato la voglia di rispondere. L’allenatore doveva essere cambiato e i giocatori erano delle pippe. A volte mi viene detto che questa squadra in Europa… ma pensiamo ad ora”.

Il presente è l’unico tempo della felicità, lo sanno tutti da Orazio alle Smemorande del liceo. Che c’azzecca ora il brutto ricordo dell’Inter eliminata da tutta l’Europa possibile (Champions ed Europa League) già a novembre? A chi giovano i distinguo, i paragoni mefitici con le pretendenti allo stesso trono, con la Juve più scarsa del decennio?

“Se per 10 anni non vinci ti abitui inconsciamente alla situazione, cerchi alibi o dai la colpa a qualcun altro, non vedi i tuoi limiti né i difetti. L’ambiente si impregna di questo”

Conte sta bonificando l’Inter impregnata di sconfittismo, e lo sta facendo con lo spirito del missionario e la baldanza del supereroe Marvel. “Avevo moltissimo da perdere, a venire all’Inter”, ribadisce. Eroe.

Nelle ultime due stagioni l’Inter gli ha comprato: Romelu Lukaku, 67,2 milioni; Achraf Hakimi, 40,5 milioni; Nicolò Barella, 40 milioni; Christian Eriksen, 26,9 milioni; Valentino Lazaro, 21 milioni; Stefano Sensi, 20 milioni (+3 milioni di prestito); Diego Godin, 3,5 milioni; Matteo Darmian, 2,5 milioni; Ashley Young, 1,7 milioni; Aleksandar Kolarov, 1,5 milioni. A questi vanno aggiunti i prestiti di Biraghi e Moses lo scorso anno e l’acquisto a parametro zero di Alexis Sanchez dal Manchester United. L’impatto economico di questo sforzo si è visto alla voce stipendi: il tetto ingaggi è salito a quota 139 milioni, un anno prima era 100.

Ma guai a fargli i conti in tasca. Bassezze da poveracci. Lui sta “compiendo un’impresa”: vincere lo scudetto con l’Inter, con quella rosa, senza doversi occupare d’altro per intere settimane-tipo (il sogno bagnato di Gattuso).

La retorica del “vieni a vincere a Crotone e poi ne riparliamo” la lasciamo alla pigrizia dei commenti su Facebook, non è questo il punto. Il punto è l’autocelebrazione agonistica. Conte ha meriti indiscutibili, tattici e ambientali. Con lui l’Inter ha guadagnato complessivamente 107 punti sulle rivali d’alta classifica, annullando e ribaltando il divario con chi alla fine del 2018-19 la precedeva (Juve e Napoli), scrive la Gazzetta dello Sport, prima di eccedere con gli zuccheri (“nell’Inter si è occupato di tutto perché tutto vuole controllare: dagli ingressi nel centro sportivo alla macchinetta del caffè. Caffè dolcissimo”).

Ma Conte sta limando la realtà a proprio uso e consumo, propagandando il meritorio (parziale) successo del suo progetto come un capolavoro tutto suo. E ci sta riuscendo benissimo, perché ormai anche la critica presa in volata s’ammorbidita: prima eccepivano sui risultati, poi sull’estetica, ora siamo al chissenefrega: è un traguardo in discesa, che Conte sta tagliando in fuga solitaria, staccando tutti, Inter compresa.

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