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Dotto: «Nella serie tv quello non è Totti, è la sua caricatura»

Sul Corsport: «Perché il finale di partita di un mito calcistico come Totti è raccontato come il diario di un minorenne dal pensiero reticente?»

Dotto: «Nella serie tv quello non è Totti, è la sua caricatura»

Giancarlo Dotto sul Corriere dello Sport demolisce, con garbo con tatto con tutto quello che volete ma demolisce, la serie tv Sky su Francesco Totti “Speravo de morì prima”. Ne pubblichiamo stralci.

Cita la frase del critico Sergio Gamberale: “Speravo de morì prima di vederlo”. Poi scrive:

Che si dice dalle mie parti? Respiro profondo da manuale yoga. Equidistanza da tutto. Non esulto e non stronco. Mi faccio e vi faccio domande istruttive. La prima. Perché il finale di partita di un mito calcistico come Francesco Totti è raccontato come il diario di un minorenne dal pensiero reticente, sempre un po’ basito ai limiti del fumato, tra l’apatico e l’afasico, che pende dalle labbra e dalle mammelle delle sue due mamme, quella biologica Fiorella, quella psicologica Ilary?

Perché il conflitto tra Totti e Spalletti, materia per un racconto omerico dei nostri giorni, viene liquidato come la storiella pop di una lite tra un pupone capriccioso che scalcia nella culla perché si rifiuta che diventi, sportivamente, tomba e una macchietta isterica, “er pelato”, una specie di bestione fegatoso, le cui sanguinarie invettive calano dal mistero di un rancore non bene identificato, o da una suggerita follia latente (facile immaginare come Luciano Spalletti non sia un uomo felice quando si specchia nel suo doppio Tognazzi).

Magnifico Pietro Castellitto che, partendo dall’handicap di una dissomiglianza assoluta (somiglia molto più ad Aquilani che a Totti), restituisce con una precisione che ha del transfert medianico la caricatura pubblica di Francesco, il personaggio che negli anni si è sovrapposto alla persona. La stessa indolenza, gli stessi semitoni soffiati e strascicati, quegli sguardi persi nel vuoto, tra fissità e buffe torsioni, quel “sonnambullismo” sfottente e pacioso del “v’avemo purgato”. Stravaccato nella confortevole poltrona del proprio smisurato talento (“il dono, questo c’ho io”), che viene da chissà dove. Forzando, ma non troppo, diremmo che se Lebowski avesse avuto i piedi e fosse nato a Porta Metronia, il pallone invece che la Marijuana, sarebbe stato Totti. E viceversa.

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