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Sergio Gallo, dal fuorisacco al giornalismo operaio

Il commosso e commovente ricordo di Eleonora Puntillo sul Corriere del Mezzogiorno

Sergio Gallo, dal fuorisacco al giornalismo operaio

I carissimi colleghi del Corriere del Mezzogiorno e il direttore Enzo d’Errico mi perdoneranno per questa violazione del copyright. Oggi il mio ex giornale ricorda papà con un meraviglioso articolo di Nora Puntillo. Si sarebbe commosso a leggerlo. Il passaggio su papà che disse ai dirigenti del Pci di voler “fare il giornalista al servizio della classe operaia”, è poesia. Grazie.

Ringrazio sentitamente il TgR Campania, Il Mattino e Il Roma che lo hanno ricordato con molto affetto.

 

Novembre 1960, lunedì 21, intorno all’una, entrando per la mia prima volta nella sede dell’Unità allora in Angiporto Galleria già Vico rotto San Carlo, oggi piazzetta Matilde Serao, nel lungo corridoio pensile incontrai Sergio Gallo, scomparso ieri all’età di 81 anni: poco più che un ragazzo, correva alla stazione per portare al treno per Roma il “fuorisacco”, la busta con dentro i dattiloscritti di tutte le notizie che si potevano compilare di mattina.

La redazione cominciava a lavorare alle 8. Sergio il fattorino era un giovane veterano fra tutti quegli adulti a me noti attraverso i loro scritti. Ed era al lavoro già da un paio d’anni. Al ritorno dalla stazione, nel pomeriggio studiava a singhiozzo, perché al fattorino toccava anche di portare i dattiloscritti pomeridiani alla “Radiostampa” ovvero il servizio telescriventi nella Posta Centrale a piazza Matteotti. E riusciva perfino a scrivere di sport, pagato (pochissimo) per ogni pezzo. Appena diplomato chiese e ottenne di continuare a scrivere, come me divenne cronista di “nera” e di altro. Come fattorino arrivò Mario Riccio, che poi diventerà un bravo fotografo subentrando nel lavoro allora svolto da Franco Feliciotti. Eravamo i tre più giovani, quasi coetanei. Sergio ci raccontò avventure e disavventure giornalistiche cui aveva assistito, vivemmo assieme l’avvicendarsi di capocronisti dopo Lapiccirella, esiliato nella sede centrale per dissensi nel Pci allora maledettamente stalinista, seguito da Francesca Spada che poco dopo si toglierà la vita.

Per motivi di età fraternizzammo presto; Sergio mi è rimasto grato per la mia “soffiata”. Avevo saputo non so come che volevano mandarlo in Federazione (allora in via Loggia dei Pisani) con incarico burocratico, lui chiarì con fermezza ad Andrea Geremicca capocronista che voleva fare il giornalista al servizio della classe operaia, come gli avevano insegnato la madre e la zia, attiviste in una Sezione del Centro. Il suo atteggiamento deciso fu premiato. Andammo tutti al matrimonio con Sofia Ferrauto, la ragazza di cui parlava sempre con una bella luce negli occhi, impiegata all’Italsider, di cui riferiva i racconti sulle vanterie dei dirigenti (quando la colata dell’acciaio riusciva bene era merito loro, quando falliva era colpa degli operai).

Si sposarono nel municipio di Fuorigrotta in via Consalvo e lui, appena ascoltate le formule di rito, disse «Sofì, ora devi obbedire a me, hai sentito?», suscitando le ire del delegato municipale e le nostre risate. Per sessanta anni insieme. Ci tenne a farci conoscere i figli Massimiliano e Daniela, che erano curiosi del suo e nostro lavoro. Dopo un quarto di secolo nella redazione dell’Unità, un breve passaggio a Paese Sera, quindi dieci anni al Mattino, capo della redazione di Castellammare, dove ebbe un primo malore le cui conseguenze superò brillantemente dedicandosi al nuoto. Da pensionato si è impegnato nell’attività sindacale, sempre con la stessa tranquilla puntualità della professione e della militanza politica.

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