Il Corriere intervista Francesco Sarcina, leader de Le Vibrazioni: «Ero arrabbiato con la vita e con le donne. Anche il sesso era cattivo, rabbioso. Col tempo, alcol e coca hanno preso il sopravvento»

Il Corriere della Sera intervista Francesco Sarcina, cantante de Le Vibrazioni. Nella sua autobiografia, “Nel mezzo”, in uscita domani, racconta tutte le sue “sregolatezze”, tra droga, sesso compulsivo, risse e alcol. Una vita dissoluta che addebita alla sua infanzia nella periferia milanese.
«I quartieri in cui sono cresciuto erano di un tale piattume che noi ragazzini guardavamo i più grandi con la voglia di stare dove accadeva qualcosa e lì c’erano solo droga e spaccare auto. Per strada, giocavamo a pallone, ma c’era sempre qualcosa da portare di qua o prendere di là. Quando fai il primo tiro di canna, pur di averne ancora, spacci e non solo. La coca, però, arriva molto dopo, quando già suonavo nelle cantine e il circolo di amici si è ingrandito e sa da chi arrivava? Non dai pezzenti come noi, ma dai figli di papà, quelli con la chitarra più bella, gli amplificatori più moderni».
Racconta la vita con i suoi genitori, i litigi tra loro, i pochi soldi a disposizione della famiglia. Poi, un giorno, rientrò a casa e non trovò più sua madre. Era andata via, in seguito ad un esaurimento nervoso.
«E’ come se si fosse aperta una voragine in cui sprofondava tutto. Il tempo si è fermato».
Racconta la reazione di suo padre.
«Lo ricordo sempre sul divano liso, stava lì immobile e cambiava la forza di gravità: entrare in casa era come entrare in un buco nero dove tutto si distorce. Per cui, stavo sempre fuori. E più stavo in giro, più tutto peggiorava. Ci hanno dato lo sfratto, ci hanno staccato la corrente per due anni. D’estate, come fai senza il frigo? Mangiavo solo pane e Nutella».
Da ragazzo, dice, aveva dentro molta rabbia.
«Ero arrabbiato con la vita e con le donne. Anche il sesso era cattivo, rabbioso. Preso il diploma, facevo il manovale, mi spaccavo la schiena, poi andavo in giro a suonare, rimorchiare e ammazzarmi di canne. Col tempo, alcol e coca hanno preso il sopravvento. L’alcol è la droga peggiore, la più subdola. Però non sono mai stato un tossico depresso, da paranoia. Forse, perché, avevo la musica: per me, scrivere canzoni è una medicina, una seduta di psicanalisi, mi mette a posto».
Si è disintossicato grazie a J-Ax.
«Mi sono chiuso in casa per cinque mesi. Mi sono legato al letto. J-Ax mi ha suggerito di fare tutti gli abbonamenti a Netflix e simili».
Oggi, anche se «è una lotta che va avanti», si dice tranquillo.
«Sento le voci, parlo con le piante e vedo gli spiriti: ho capito che la realtà si percepisce solo nella naturalezza di quello che sei. Ho capito che mi buttavo negli eccessi per staccarmi dalle sofferenze. E che poi mi dicevo che avevo bisogno delle sofferenze perché sulle sofferenze scrivo canzoni. Questo libro mi ha permesso di guardarmi a fondo come non avevo mai fatto».
Nel libro racconta anche molte delle risse in cui è stato ripetutamente coinvolto.
«È come se avessi la violenza nel dna: un bisnonno era stato in carcere per omicidio per una storia di fascismo; il nonno materno, che si era preso una pallottola in pancia dal fratello, ha menato durissimo fino a 80 anni. Ho tenuto a bada la violenza come potevo, ma non sempre. A un concerto, ho picchiato uno spettatore che faceva gestacci: ero stanco, spremuto da manager senza ritegno. Una volta, ho pestato uno che molestava la fidanzata del mio batterista, l’ho rincorso, gli ho sbattuto la faccia per terra, gli ho tirato calci in faccia, mi è partita una furia del diavolo».
C’è anche il rapporto con il padre, in “Nel mezzo”. Sarcina dice:
«È finito in ospedale una settimana prima che Dedicato a te uscisse e facesse il botto. La rabbia sa quale è? Che mi aveva sempre dato del pirla e io non potevo fargli vedere che ce l’avevo fatta e dirgli: il pirla sei tu. La rabbia, per dieci anni, è stata che finalmente avevo successo ma, ogni volta che salivo su un palco, mi sentivo in colpa perché non ero accanto a mio padre invalido».