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Al Napoli serve un allenatore che non ami i passaggetti e che non faccia drammi per le cessioni

Oltre a un direttore sportivo con un ottimo scouting. Il Napoli è peggiorato proprio quando ha smesso di vendere i suoi calciatori migliori

Al Napoli serve un allenatore che non ami i passaggetti e che non faccia drammi per le cessioni
Piaccia o no il Napoli, per tutta una serie di fattori e parametri, non è e non sarà mai una società di “primissima fascia” come lo sono il Real Madrid, il Barcellona, il Bayern Monaco, il Liverpool, il Chelsea, i due Manchester, il Paris Saint Germain, la Juventus e, forse, le milanesi; il Napoli deve ambire ad entrare stabilmente nel novero delle squadre di “seconda fascia europea” (Borussia Dortmund, Atletico Madrid, Lione, Porto, Ajax, le “new entry”  Lipsia e Atalanta, etc) e come tale deve regolarsi, ossia acquistare calciatori bravi, ma non del tutto esplosi, di 23/24 anni circa per poi rivenderli dopo 3/4 anni di permanenza, al fine di realizzare corpose plusvalenze da reinvestire per potersi mantenere a determinati livelli.

Che poi, è proprio ciò che stava facendo, con risultati molto lusinghieri, il Napoli fino al 2016, poi, dopo la dolorosa cessione alla Juve di Higuain (tramite il pagamento della clausola rescissoria), la società partenopea ha clamorosamente invertito la rotta, con risultati che sono, ahinoi, sotto gli occhi di tutti; da allora non solo il Napoli non ha più inserito le tante vituperate clausole rescissorie nei contratti (che, con buona pace dei soliti detrattori, avevano garantito agli azzurri di mantenersi a livelli addirittura superiori alle proprie possibilità) ma, tranne Jorginho, non ha più effettuato una cessione veramente remunerativa, ha trattenuto molti calciatori più del dovuto, col risultato di perderli a zero o di svenderli incassando meno della metà di quanto avrebbe incassato se li avesse venduti qualche anno prima.

Il Napoli, come il Borussia Dortmund, l’Ajax, l’Atletico Madrid, il Porto, l’Atalanta, etc non può e non deve permettersi di trattenere troppo i suoi tesserati, rischiando di farli invecchiare e svalutare, come invece ha fatto negli ultimi cinque anni. Deve, al contrario, abbracciare un progetto diverso che, in mancanza di altri introiti, punti alla valorizzazione e alla successiva vendita dei suoi calciatori e, per poter fare ciò, occorrono un Direttore Sportivo e un relativo scouting bravissimi nell’individuare “gioielli grezzi” in giro per il mondo da rivendere dopo un tot di stagioni e, soprattutto, un allenatore che non pretenda la riconferma in blocco dei suoi uomini per svariati anni e che non si faccia nessun tipo di problema a dover rinunciare, ogni anno, a 2/3 elementi della sua squadra (esattamente come ha fatto Gasperini a Bergamo che, negli anni, ha visto partire tantissimi suoi calciatori senza fare drammi, anzi confermando/migliorando anno per anno il rendimento della sua Atalanta nonostante le tante cessioni). Un allenatore, quindi, che abbia dei principi di gioco facilmente assimilabili dai nuovi innesti e che non richiedano necessariamente continui e ripetitivi allenamenti specifici e che, pertanto, non risentano troppo dei tanti impegni ravvicinati, impegni che una squadra con ambizioni europee non può non avere.

Se a tutto ciò si aggiunge che il calcio attuale, dopo una sbornia generale per il possesso palla asfissiante, le azione manovrate fatte di “millemila” passaggi in orizzontale e per i calciatori brevilinei e bravi nel palleggio, oggi sta andando nella direzione opposta, ossia si sta riscoprendo un calcio sempre più verticale, aggressivo, fisico, muscolare (e dove la difesa a zona non rappresenta più un dogma assoluto, anzi le tanto bistrattate marcature a uomo vanno pian piano riaffermandosi), con calciatori più strutturati e resistenti e, pertanto, più portati a reggere i ritmi dei tanti impegni previsti da un calendario sempre più fitto, ecco che il Napoli del futuro, se vuole avere ancora un ruolo da protagonista, deve necessariamente apportare una inversione a U rispetto al recente passato, una svolta che deve riguardare strategie societarie, idea di gioco e tipologia di calciatori.

Altra cosa su cui bisognerebbe fortemente puntare (ma questa è una carenza che accomuna tutte le società italiane, ad esclusione della più lungimirante Juventus…) è quella di allestire la cosiddetta “squadra riserve” (oUnder 23) in una categoria inferiore: in tal caso si potrebbe avere una seconda squadra dove poter “parcheggiare” e far maturare qualche prospetto interessante ma, al tempo stesso, garantirsi un serbatoio di altri 25 tesserati da cui poter “attingere” in ogni momento in caso di necessità (esattamente come fatto, in più di un’occasione, dalla Juventus quest’anno, in una stagione caratterizzata dalle tante assenze causate sia dalla pandemia in corso che dai tantissimi infortuni muscolari dovuti al poco riposo, e che invece non è possibile fare con una società “satellite” come può essere il Bari per il Napoli, la Salernitana per la Lazio, etc).

In poche parole urge una vera e propria rivoluzione copernicana, altro che la “restaurazione” tanto auspicata/desiderata da molti!

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