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Accettate con serenità (ed educazione) chi la pensa diversamente da voi

Una risposta a Imperatore. Essere élite non è uno stigma. Lasci stare lo scivoloso terreno del censo, un leit-motiv vecchio come Napoli

Accettate con serenità (ed educazione) chi la pensa diversamente da voi
Dall'account ufficiale Twitter dell'Everton

Diversi anni fa avrei avuto difficoltà ad immaginare quanto il calcio sarebbe diventato la trama dei miei desideri, dei miei ricordi e soprattutto delle mie aspirazioni. Il derby di Liverpool va all’Everton di Ancelotti ed esserne felice mi fa sorridere perché i vincoli che questo gioco genera rimangono imperscrutabili – cosa ho in comune con i Toffees? Poco. Ma – d’altra parte – cosa ho in comune con il resto del mondo, vicino e lontano? Lo stesso minuscolo poco. Questo limite tra fratellanza e solitudine è il gioco mentale che il calcio ci dimostra e che di questo sport mi affascina.

Ciò che ancora di più mi fa sorridere è l’inaspettata insofferenza di tanti nei confronti del semplice atto di esternare questa prospettiva, di raccontarne i motivi.  Vincenzo Imperatore, ad esempio, è autore di un pezzo comparso su Il Fatto Quotidiano in cui tale insofferenza è stata tramutata in una buona dose di astio indirizzata ad una generica classe di pseudointellettuali anti-Gattuso che magnificano ancora Ancelotti. La decrittazione, per i meno avvezzi, recita “Il Napolista”.

Sul motivo per cui, nel cosiddetto mondo giornalistico, ci si spenda tanto nelle polemiche incrociate senza tuttavia mai citare il destinatario dell’invettiva, io non so dire. Il tono e le metafore utilizzate da Imperatore nel pezzo, invece – su di noi che magnifichiamo i peti di Ancelotti, noi che siamo parte della media borghesia improduttiva che schierava i paninari negli anni ’80, noi che non sappiamo cosa sia competere – mostrano l’ansia di chi si è sentito personalmente attaccato, nei propri sentimenti e nelle proprie convinzioni, anche dalla mia personale ammirazione ed il mio supporto per l’allenatore di Reggiolo. In breve, il mio sabato sera in allegria fa inaspettatamente innervosire Imperatore, e non solo lui. Chi l’avrebbe mai detto.

Ora, un giornale, un articolo, un libro non presuppongono mai alcun utilizzatore finale. Se lo fanno, smettono di essere giornali, articoli o libri e diventano cartoline. Per dirla con Gervais, avrebbe senso fare una telefonata di reclamo contro una ditta che fa pubblicità di lezioni di chitarra a Times Square per protestare: “Io non ho bisogno di lezioni di chitarra!”? Basta ignorare il cartello che, banalmente, non parla a te. L’astio di Imperatore è figlio dei tempi in cui tutto gira in modo da farci sentire speciali e perennemente eletti a oracoli o obiettivi. Ci viene fatto credere, per motivi commerciali, che il nostro punto di vista e i nostri moti d’animo siano importanti. Tutto è riconducibile a una email per noi. Ovviamente non è così. Noi siamo largamente irrilevanti.

Per questo non sarei troppo sicuro che il target di questo gruppo di falliti, di cui pare io sia parte e che sembra faccia moral suasion oggi contro Gattuso, sia Vincenzo Imperatore o chi la pensa come lui. Per quel che vale, il motivo per cui da qualche anno apprezzo l’ospitalità della redazione del Napolista deriva dalla possibilità che questo giornale, nel microcosmo incartapecorito di Napoli e dintorni, parli a chi abbia la fortuna, per motivi anagrafici, di ignorare cosa siano i piumini Moncler o i paninari. È ai più giovani di me e di Imperatore, infatti, che vale la pena dire che esiste di più e di meglio di Napoli e di quanto in essa accade e solo avendo in testa questa prospettiva si può guardare indietro e rispettare un approccio laico, intenso e dunque problematico alle proprie origini.

È bene parlare ai meno anziani perché dove si tradisce, se mi è concesso, la vecchiezza delle idee di Imperatore è sul ruolo che chi scrive dovrebbe ricoprire. A suo dire, noi, nel gioire delle vittorie dell’Everton, blandiremmo Benitez o Ancelotti perché ancorati ad un concetto di bellezza derivante dal censo. Un leitmotiv vecchio come Napoli. Ebbene la storia è più complicata di così – è più articolata di un film di Nino D’Angelo in cui c’è il barista volgare e squattrinato di “giù” che però ha sentimento, mentre il figlio del ricco megalomane di “su” è in realtà uno spiantato.

È tempo che anche nella testa dei napoletani cresca l’idea, che esiste nel resto del mondo più avanzato, che le società sono da sempre influenzate e mosse dall’élite – che per fortuna esistono e sono necessarie -, da coloro che hanno collezionato più esperienza, più studi, più vita della maggioranza dei propri simili. Essere élite non solo non è uno stigma, come a Napoli si ritiene, ma è una responsabilità che richiede il coraggio di riconoscersi privilegiati nelle condizioni iniziali, la forza di capire e rivendicare di aver fatto più degli altri e lo spirito civico di volerlo raccontare per indurre desiderio nel prossimo.

Desiderio, non rivalsa. E credo che il Napolista, da giornale politico, non abbia mai nascosto ​l’ambizione di sedersi al tavolo di questa élite, anche solo per mescolare le carte e rompere le scatole. Poi tutto sta nei simboli e i riferimenti che ciascuno conserva in sé – tra i miei potrebbero esserci Pimentel Fonseca, Errico Malatesta, Ettore Majorana e Totò, quindi il censo come parametro non figura. Ai più giovani, in osservanza di quanto diceva Michael Jordan (“Non ho mai chiesto ai miei compagni di squadra di fare quanto io non avessi già fatto”), continuerò a consigliare di andare via – perché io l’ho fatto e mi ha giovato – di girare intorno, perché se così facendo racimoli più storie da vivere e raccontare, finirai con avere più rispetto per chi ne ha più di te. Imparerai a stare zitto ed ascoltare un racconto anche quando perdi e arrivi quinto o settimo, senza la petulanza di chi si sente perennemente speciale o chiamato in causa.

Ad Imperatore quindi suggerisco di ammainare la vela del censo. È un terreno scivoloso. Sono anni che al Napolista rimproverano di ricevere fondi neri per produrre opinioni “schierate” (ove mai questo termine avesse un senso). Da principio doveva essere il presidente del Napoli a tenere la redazione a busta paga, poi le critiche alla presidenza hanno spostato le ipotesi: ci paga Ancelotti, ci paga il figlio di Ancelotti, ci paga Benitez, ci paga un amico di Benitez. Accettate, con un po’ di serenità e qualche briciolo di buona educazione, che c’è chi la pensa diversamente e non ce l’ha con voi.

Tralasciando quindi il riferimento all’improduttività e rimanendo piuttosto al concreto della vita quotidiana, poiché io sono un manager di una multinazionale e mi ritrovo a volte ad insegnare ad altri manager provenienti da tutto il mondo, mi torna utile consigliare spesso Quiet Leadership: Winning Hearts, Minds and Matches di Carlo Ancelotti. Lo faccio perché è un tipo di leadership che trovo moderna e alla quale mi ispiro. È uno strumento che ritengo valido. Non c’è altro. È semplicemente che non ho alcun libro di Gattuso o di Sarri da consigliare e, visto che queste sono le mie esperienze e le mie esigenze, ciò fa sì che ritenga un professionista interessante ed un altro irrilevante.

Consiglio ai miei manager anche No rules rules di Reed Hastings, co-fondatore di Netflix, e la sua intrigante seppur controversa cultura aziendale: “Lead with context, not control”. Questo è ciò che faccio e che mi piace, questo ammiro nel tè di Ancelotti che, come il “Fate presto”, è un simbolo per apprezzare il quale è richiesto studio e qualche esperienza. Se non ce li avete dovete procurarveli, non è colpa né di chi scrive né del Napolista.

Per concludere e per contribuire ad un minimo di chiarezza ed onestà intellettuale, smettiamola di scambiare la maleducazione con la schiettezza e la mediocrità con l’umiltà d’animo. Smettiamola di tacciare chi non è un arrogante di politicamente corretto. È questo fondale limaccioso che si rimesta quando non si ha vocabolario – ed avercelo è fondamentale, insegniamolo ai più giovani. La misura estetica delle parole e degli atteggiamenti è necessaria per tutti visto che, non essendo artisti, il talento e la disciplina richiesti a scovare e riconoscere la bellezza ovunque e altrove è ciò cui siamo chiamati. Se non sei Keith Richards vestirti come lui ti renderà solo un poveraccio.

L’intellettuale, a differenza di ciò che dice Imperatore usando le categorie aristoteliche, non cerca la verità. A ciò sono predisposti i preti, i cardinali, i papi e i segretari di partito. Ve ne parleranno in abbondanza. L’intellettuale vuole individuare, con dubbio e metodo, i propri legacci e quelli di chi gli sta attorno. L’intellettuale perde spesso e malamente, ma il sorriso non lo perde mai. Perché poi si volta e sorride coi Toffees.

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