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Più che Insigne, il problema sono i suoi “laudatores”

Dalla Fiorentina al rigore sbagliato, è passato da essere Maradona a Puzone. La sua incostanza è anche nei nostri giudizi sommari e incoerenti al limite del patologico

Più che Insigne, il problema sono i suoi “laudatores”

Ora che piange, è facile. Era facile pure prima, in realtà. È facile sempre parlare di Insigne. Sai già dove andranno tutti a parare: un giorno sarà Maradona, quello dopo un mediocre simbolo della mediocrità del Napoli. Una noia mortale. Nella prevedibilità dei commenti si può cogliere la sinusoide di un’intera carriera: quello specchio che un giorno ti riflette bellissimo, e quello dopo inetto.

L’esasperazione estatica fa da contrappeso ad ogni inciampo, ed è questo il problema vero di Lorenzo Insigne. Quando va sul dischetto contro la Juve porta il peso di troppe parole spese a capocchia. Di un decennio di esagerazioni, di ipervalutazioni senza misura e di cattiverie appuntite. Insigne ridotto a fare il terzino per timore che un Cuadrado post-Covid imperversi sulla sua fascia (come poi effettivamente ha fatto) è colpa nostra, anche. Che ora facciamo i bulli sulle sue lacrime in panchina.

La settimana che l’ha sballottato dalla Fiorentina alla Juventus è perfetta per raccontare queste montagne russe. Dopo il 6-0 rifilato alla insuperabile retroguardia viola abbiamo letto di un “fantastico solista che sale sul podio. L’orchestra ha un direttore, ed è lui”. Il Corriere dello Sport, per dirne uno a esempio, scriveva che “Insigne sparge luce sino alla Juventus: c’è vita, per Gattuso, con un marziano al fianco”.

Ricordiamo tutti i ricami che la retorica gli ha cucito addosso quando ha segnato una splendida punizione nello stadio che stava cambiando nome in memoria di uno che le punizioni le tirava proprio così. Una melassa a tratti inquietante. La Gazzetta – sempre solo un esempio – scrisse sobriamente:

“Insigne dice che il 10 va ritirato. No, Lorenzo: vesta quella maglia. La punizione nella stessa porta è stata un’indicazione del destino. Diego è stato dio di carne: si sentirebbe più onorato a vedere la sua maglia ripiena di un cuore, piuttosto che vuota in una teca. Lei è il figlio di Napoli più degno di portarla. I bimbi della città hanno il diritto di sognarla. Non sarà una croce, solo un assist alla memoria. Coraggio”.

Il problema non è Insigne, è la rappresentazione che se ne fa. L’abuso. I suoi “laudatores” che salgono e scendono dal carro a seconda che viri verso il successo o l’ignominia. Tanto che ormai il giudizio anche estetico di ogni suo gesto diventa esercizio banalotto di stile, che sia il canto della prodezza o la denigrazione dello sfondone. Il “tiraggiro” è una metafora perfetta: se gira bene è un capolavoro, se gira male è l’insopportabile sintomo della presunzione.

Chi è davvero Insigne – Maradona o Puzone – lo decidiamo noi, di volta in volta, senza tema di apparire ridicoli. E’ cosa nostra, parliamo di lui ma riflettiamo noi stessi. E non è un bel vedere.

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