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Fabregas: “Con Conte ho scoperto (e sofferto) il calcio robotizzato di oggi”

A L’Equipe: “È un vincente nato ma gli allenamenti adesso sono ripetitivi, a me non piace che mi si dica a chi passare la palla”

Fabregas: “Con Conte ho scoperto (e sofferto) il calcio robotizzato di oggi”

Cesc Fabregas, in una lunga intervista concessa all’Equipe, ha parlato dell’evoluzione del calcio e di come questo si sia intrecciato nel suo rapporto con Antonio Conte.

La qualità più importante per un centrocampista è guardare avanti. Bisogna aiutare la squadra, ma sempre con l’obiettivo di guardare avanti alla ricerca degli spazi. Un buco c’è sempre, devi sapere come trovarlo, che sia con un passaggio diretto o passandola a qualcuno che lo troverà. Ecco perché gli allenamenti di oggi sono molto ripetitivi, prima non era così: gli allenatori erano lì più per motivare che per dirci come giocare e facevamo molti più lavori individuali. Il calcio di oggi è molto meccanizzato, è un provare in continuazione, così che tutti i giocatori sappiano cosa fare in campo.

Non so è meglio o peggio, mi devo adattare. Uccide la creatività? Se ne può parlare. Quando andai in Premier c’era un gioco molto fisico: tantissimi 4-4-2, lanci lunghe e seconde palle. Quando sono arrivato è cominciata un’evoluzione ma anch’io mi sono dovuto adattare a ciò che è diventato il calcio: uno sport molto fisico, dove tutti i giocatori sono veloci ed esplosivi. Per l’80% degli allenatori di oggi, se non sei forte fisicamente è molto difficile che tu possa giocare. Con Conte ho cominciato a vedere com’era il calcio moderno. Gli allenamenti erano robotici: “tu la dai a me, io la do a te. Se tu sei là, allora io devo essere qui”. E le sessioni video in cui venivano spiegati gli errori in queste circostanze. È stato uno shock perché sono sempre stato un giocatore che si è affidato alla creatività, a ciò che pensavo fosse la cosa migliore. Non mi piace sentirmi dire a chi devo passare la palla, ecco perché all’inizio con Conte ho sofferto un po’. Ma poi ho capito che dovevo adattarmi, il calcio è così. Tra 5-10 anni ci saranno allenatori che faranno altre cose, i nuovi Guardiola e Klopp. Non l’ho mai avuto come allenatore ma molti dicono che lavori in modo simile a Conte, sul fisico e sulla tattica.

Conte firmò per il Chelsea tre mesi prima degli Europei. Organizzò incontri individuali di un’ora con 15 giocatori in due giorni. Mi spiegò tutto il suo calcio su un pezzo di carta, è stato stupefacente, una discussione che non dimenticherò mai. Quando poi ci fu ItaliaSpagna sapevo già come avrebbero giocato e sapevo che sarebbe stato difficilissimo perché gli Azzurri sarebbero stati molto preparati. Giocavano bene, attaccavano e difensivamente erano organizzati come robot. Prima della partita Del Bosque chiese a qualcuno se volesse dire qualcosa su come avremmo dovuto giocare, io avrei voluto parlare ma poi non so perché non dissi nulla.

Dopo la partita Conte fece la sua conferenza stampa poi venne all’antidoping dove eravamo io e Silva, bussa e mi dice: “Ora riposati, ma posso darti solo due settimane di vacanze perché poi dobbiamo lavorare molto perché dobbiamo vincere la Premier League”. Aveva eliminato la Spagna e stava già pensando al campionato inglese. Capii che era un vincente nato, imparare da questi allenatori è come prendere una pozione.

All’inizio non voleva schierarmi, perché diceva che non ero pronto fisicamente. Ho lavorato molto e poi ha detto alla stampa una delle cose che mi ha reso più felice: “È l’unico giocatore che può permettersi di non fare sprint di 50 metri, perché so che con il pallone tra i piedi è un’altra cosa, come Pirlo“. Alla fine ci siamo divertiti insieme, perché io ho capito il suo calcio e lui le mie idee, è stato reciproco. Conte è l’allenatore di cui scrivo di più con gli altri, perché è stato tutto così nuovo con lui.

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