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Psg-Basaksehir rende giustizia a Koulibaly che a San Siro venne espulso da Mazzoleni

Con gli occhi intorzati Gattuso non vede un tubo, ma riesce a percepire che questa qui è una delle partite più brutte da quando è a Napoli.

Psg-Basaksehir rende giustizia a Koulibaly che a San Siro venne espulso da Mazzoleni
Foto della Ssc Napoli

FALLI DA DIETRO – 11a GIORNATA 

Le sfide Europee ci lasciano con un’immagine memorabile.

I calciatori inginocchiati, come Colin Kaepernick,  il giocatore di football americano che s’inventò questa forma di protesta silenziosa contro le violenze della polizia sugli afroamericani.

Di Paris Saint Germain-Basaksehir, si parlerà a lungo.

E forse muoverà qualche coscienza anche tra i dirigenti del pallone italiano. Perché l’Uefa, per la prima volta, ha capito.

Non ha annullato la partita con sconfitta a tavolino. Ma ha deciso di far riprendere la gara.

Qualcosa, finalmente, può cambiare.

È lo sport stesso che si ribella, i campioni che fanno un passo avanti.

Il gesto di Mbappè, di Neymar e degli altri 20 calciatori al Parco dei Principi rende giustizia a Kalidou Koulibaly, che voleva abbandonare San Siro durante un’Inter-Napoli di due anni fa.

Koulibaly rivolse a quella fetta di tifo interista intollerante, un applauso ironico.

Fu espulso.

L’arbitro, Paolo Silvio Mazzoleni. Quello di Pechino.

Il gesto rende giustizia a Kevin Prince Boateng, che con la maglia del Milan scagliò una pallonata verso la tribuna dei tifosi della Pro Patria dopo essere stato oggetto di ululati.

Lasciò il campo Boateng, assieme a Muntari e Niang, altri atleti neri del Milan.

Qualcosa può cambiare.

Nasce una nuova consapevolezza contro il razzismo.

Black Lives Matter.

L’Europa ci lascia. Se ne parla a febbraio. Spazio al campionato, ora.

Che tuttavia non procede con eccessive emozioni.

La stanchezza è come l’amore, e non si può nascondere. C’è e si nota.

Tutte promosse le italiane, tranne una.

I Suninter del sopravvalutato Mister Parrucca.

Sbattuto fuori all’ ultimo posto nel girone, il mister Dodicimilioni, in preda all’irrefrenabile delirio autodifensivo, ci regale la più esilarante delle lamentazioni.

Tutti cambiano il loro gioco quando affrontano l’Inter, guaisce.

E lui ovviamente non ha colpa se non ci capisce più una sega.

Sia come sia dopo il fallimento europeo, l’Inter non ha scampo.

È obbligata a vincerlo, questo campionato.

Alla Sardegna Arena, si mette subito male nonostante la presenza di Eriksen dall’inizio, con una prestazione di grande volontà e sacrificio. Il bellissimo gol iniziale di Sottil sembra suggellare la frittata conclusiva per Conte, che conferma l’impressione di non capirci una mazza.

Invece nel finale, Barella, D’Ambrosio e Lukaku ribaltano.

E regalano tre punti. Tre punti illusori e un po’ fortunosi, perché i sardi avevano in precedenza sbagliato due gol fatti.

Prima di campionato al neo Stadio Maradona con gli azzurri che hanno ancora nei muscoli i 95 minuti contro la Real Sociedad.

Il Gattaccio ha gli occhi intorzati per sta maledetta miastenia oculare. Praticamente non vede un tubo, ma riesce a percepire che questa qui è una delle partite più brutte da quando è a Napoli.

Solite mancanze. Solito primo tempo regalato agli avversari.

Poche idee, poca garra.

E allora il mister a tentoni ne tasta cinque dalla panchina e li manda in campo.

Fortuna vuole che fra questi cinque abbia scelto anche il Mariachi.

Il messicano cambia letteralmente la partita.

Un demonio sull’out. Partita assolutamente stratosferica.

Un gol, un palo, un assist.

La vittoria è tutto merito suo.

Gli ergastolani si presentano a Marassi a petto in fuori tronfi del trionfo del Camp Nou.

Tutta la stampa nazionale a osannare il Pirlocchio che ha finalmente trovato le giuste misure.

E invece no. Perché gli agnellini continuano a giocare ad mentula canis, per usare una terminologia nobile.

Ma i grifagni grifoni, si sa, sono giocattolai.

E così si inventano un paio di rigorini speciali, giusto per compiacere il Toy Boy e consentirgli la solita sceneggiata coreografica.

Dopo il gol, corsetta in solitario verso la bandierina.

Poi improvviso stop, giravolta, braccia dall’alto verso il basso.

E solo allora i compagni hanno facoltà di correre verso di lui per l’abbraccio. Meraviglia.

La Dea stende gli Stilnovisti.

Allo stesso modo con cui il Papu due settimane aveva steso Gasp negli spogliatoi. Con la variante che una volta abbattuto il Gasp, il Papu per niente soddisfatto, pare gli sia zompato addosso e non voleva assolutamente sganciare la presa.

Botte da orbi. E mentre il Papu menava sono sicuro che più d’uno della squadra sussurrasse: “Ecco, bravo. Questo è pure da parte mia!”.

All’Olimpico altro capolavoro Juric. Con Zaccagni e Lovato gioielli smaglianti.

Aquilotti distratti dal passaggio Champions dopo vent’anni.

Similitudine.

Gli Aquilotti con la Champions portano alla mente il compagno di scuola dell’adolescenza. Solitario, timido, secchione. Che a un certo punto conosce la patonza. Incredulo per tanta grazia, si abbandona ai piaceri frenetici dell’amore. Ma ne paga il prezzo. E becca un paio di due alla versione di greco.

Immagini della settimana. Frame direbbero i modernisti.

Gran Teatro del Liceu a Barcellona. Il quartetto d’archi si esibisce dinanzi a un pubblico di piante da vivaio. La platea, i palchi tutti verdi. Le piante hanno certamente più sensibilità degli umani a recepire la bellezza.

Corrado Augias (da me – tra l’altro – non particolarmente amato) si reca all’Ambasciata francese a restituire la Legion d’Onore. In memoria di Giulio Regeni.

Quella bara bianca retta a spalla da Cabrini, Tardelli e Antognoni.

La meglio gioventù.

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