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“La belva” conferma che il cinema italiano ha risorse inaspettate

Fabrizio Gifuni è il mattatore inatteso di questa opera prodotta da Matteo Rovere e in cui Netflix ha creduto. La guerra e l’impossibile ritorno alla normalità

“La belva” conferma che il cinema italiano ha risorse inaspettate

È una bella sorpresa “La belva” il film prodotto da Matteo Rovere – che non so se sia più bravo a farli i film o a fiutare quelli giusti da produrre… – che si può vedere da pochi giorni su Netflix e che ha in Fabrizio Gifuni un mattatore inatteso nei panni di Leonida Riva, un reduce dalle guerre umanitarie a cui il nostro Paese partecipa in Medio Oriente. Prende psicofarmaci l’ex capitano delle Forze speciali, perché chi torna da una guerra non può abituarsi ad una vita normale, e viene seguito da una psichiatra. Una sera viene invitato dalla sua famiglia, da cui si è allontanato volontariamente, ad una cena, ma il figlio 16enne Mattia (Emanuele Linfatti) mentre accompagna la sorella cinquenne Teresa (Giada Gagliardi) dal padre, se la fa sottrarre da ignoti.

Mentre la moglie di Riva, Angela (la straordinaria attrice teatrale (Monica Piseddu) tace nell’attesa, Riva si getta nel suo solito vuoto, all’inseguimento questa volta dei rapitori di sua figlia. Dove il reduce è sempre qualche passo più avanti degli uomini della polizia capitanati da Antonio Simonetti (il bravissimo attore napoletano Lino Musella). L’azione rabbiosa di Riva che insegue il contrabbandiere Mozart (Andrea Pennacchi) s’inframmezza con la sua esperienza contro i talebani, mentre Mattia scopre in un videotape le ragioni che hanno portato il padre all’abbandono dell’esercito ed al suo scontroso e impersonale stato attuale.

Il film, che gode di un soggetto originale firmato dal quartetto composto da Claudia De Angelis, Ludovico Di Martino, Andrea Paris, Nicola Ravera Rafele – anche co-sceneggiatori – ha una regia chiara nello stesso Ludovico De Martino, che avevamo già notato.

Film come “La belva” ti confortano nella tua convinzione che il cinema italiano abbia in sé risorse inaspettate: se si ha il coraggio di fare esprimere autori nuovi affiancati da produttori colti. Tematiche letterarie come l’impossibilità del ritorno ad una normalità dopo l’autoreferenzialità abrasiva della guerra, la tratta delle minori, il rischio di affrontare la narrazione dell’esperienza-guerra per ritrovare un vissuto di relazioni, possono quindi trovare cittadinanza se si reggono anche su gambe attoriali di primissimo livello. Fa piacere che Netflix abbia creduto in un’opera di questo valore.

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