ilNapolista

Dieu est mort. Diego, non eravamo mai stati così felici

Al via il racconto a puntate di Carratelli. Alle cinque della sera se ne è andato il torero. Ha pianto tutto il mondo. Ha pianto Napoli che è stata il mondo di Maradona

Dieu est mort. Diego, non eravamo mai stati così felici

Comincia sul Napolista un racconto a puntate su Diego Armando Maradona a firma Mimmo Carratelli

Mercoledì 25 novembre di quest’anno bisestile che è il 2020, è sera a Napoli, una dolcissima sera nel cuore di un autunno napoletano mite e languido. E alle cinque della sera se ne è andato il torero. Ha finito di combattere, laggiù a Buenos Aires dov’era mattina tardi. Un cuore s’è fermato. Un cuore generoso, pazzo, triste, felice, affaticato, stanco. Ha pianto tutto il mondo. Ha pianto Napoli che è stata il mondo di Maradona.

Oh, pibe! Come è stata breve la tua vita. Breve e intensa. Benedetta e maledetta. Felice, ingannevole, combattuta, vissuta, patita. Il dio del calcio. E “L’Equipe” ha titolato in prima pagina: “Dieu est mort”. E il titolo copre appena la tua immagine, il viso fiero, la testa coi riccioli neri, la maglia dell’Argentina.

L’ultima battaglia è persa. L’infortunio casalingo maledetto all’inizio di questo mese. La banale caduta e il coagulo di sangue formatosi nella testa, operato d’urgenza. Il dottore Leopoldo Luque, fedele amico e neurologo che ti ha sempre tento in cura. La clinica Olivos a Buenos Aires. Questo stupido, dannato incidente domestico col rischio di lasciarci la vita. Ma avevi superato l’ennesima prova col tuo carattere indomabile. Sorpresi i medici della tua ripresa. E noi avevamo sperato che ancora una volta ce l’avresti fatta. Cinque giorni prima avevi festeggiato i tuoi 60 anni senza le luci sgargianti dei tuoi anni di gloria.

Il leone, che sei sempre stato, abbattuto come una casalinga sfortunata, come un pensionato che inciampa in casa. Forse, eri stordito da troppi medicinali. Forse per questo avevi vacillato ed eri caduto. Ma, che importa, l’operazione era andata bene. Te l’eri cavata ribellandoti al tuo destino segnato. Sembrava un’altra resurrezione dopo l’ultima caduta.

Quante volte, Diego, sei stato davanti al muro nero della morte negli anni strazianti della droga che ti divorava il fisico e ti annebbiava la testa? Quanto sei stato forte, tenace, indomabile tutte le volte che ti sei ripreso, lottando come un leone, lottando contro la tua padrona bianca che velocemente ti distruggeva? Ricordo quei due giorni drammatici a Punta del Est nel gennaio 2000 e a Buenos Aires nel 2007 quando ti presentasti al cospetto del Barba, come poi avresti raccontato, e il Barba ti disse che non era venuto il momento. Mai così vicino alla morte, Dieguito.

Stavolta il Barba non ha detto nulla, forse perché ha visto le tue ultime sofferenze, il cerchio opprimente della tua solitudine, l’alcol come unico amico subdolo, il ricordo del passato un macigno sul cuore e, per alleviare tutto, le medicine, troppe medicine.

Oh, Diego dei nostri sette anni felici nella città che è stata la tua città, “seconda mamma mia” cantavi, Napoli, non Barcellona e neanche Buenos Aires. Qui diventasti Dieguito, Sangennarmando, Maradaona è meglio ‘e  Pelè.

Oh, Diego Armando Maradona, pibe, pelusa, mano di Dio, re dei re del dribbling, re magio del gol. Eravamo una città sofferente e vinta, il terremoto, la criminalità, il terrorismo in quella metà degli anni Ottanta. Venisti a liberarci da angosce e paure. Venisti a liberare la fantasia di Napoli. Non eravamo stati mai così felici.

(1 – continua)

 

ilnapolista © riproduzione riservata