ilNapolista

Da vent’anni Napoli non riceveva la visita di un capo dello Stato. Poi arrivò Maradona

Se tu eri immenso, come poteva essere immenso il cronista? Se tu mettevi a sedere tre avversari, come potevamo noi mettere a sedere tre lettori?

Da vent’anni Napoli non riceveva la visita di un capo dello Stato. Poi arrivò Maradona

E noi che cosa potevamo scrivere all’epoca della lambada e di Dieguito? Potevamo? Dovevamo. Ma quale ennesimo e conturbante “pezzo”, dopo tanti, tantissimi, si poteva scrivere su Diego Armando Maradona senza sconfinare ancora e più nelle iperboli e nell’elegia? Tu continuavi a fare colpi da maestro, e un poeta ci voleva per descrivere i tuoi colpi di incantesimo, il tuo orecchino che dribblava l’aria, le tue traiettorie fatate, la lampada di Aladino dalla quale traevi i palloni magici. Eri un allegro Alì Babà e, davanti ad ogni porta avversaria, sussurravi: “Apriti, Sèsamo”. E le porte si aprivano.

Tu eri il fantastico danzatore del fùtbol, del tip-tap del goleador, del tango del dribblatore con l’irresistibile casquet degli avversari, del fandango accennato con la punta del piede mancino, del charleston di tutte le tue finte. Ma come potevamo inventare fantasie che tu le inventavi tutte? I cronisti che si accompagnarono alle tue ripetute prodezze dovevano viaggiare con l’esametro di Omero, con gli epinici di Pindaro, con le Vite parallele di Plutarco (Maradona è meglio ‘e Pelè), coi poemi epici del sorrentino Tasso e le rime dell’Ariosto.

Se tu eri immenso, come poteva essere immenso il cronista? Se tu mettevi a sedere tre avversari, come potevamo noi mettere a sedere tre lettori? Dove potevamo rubare l’aggettivo che valeva un tuo dribbling, il sostantivo efficace come il tuo calcio di punizione, la perifrasi irresistibile come i tuoi slalom, il neologismo incisivo come il tuo assist? Giorno per giorno ci chiedevamo quale fosse la parola pari a un lancio di Diego che finisse nel cuore e nella fantasia dei lettori, quale fosse la frase che doveva sorprendere come un pallonetto dell’inimitabile, che avvincesse come una sua finta, che affascinasse come il suo colpo di tacco. Questo fu il gioioso affanno dal giorno 5 luglio 1984 e dall’ora sei e mezzo e un minuto del pomeriggio, in cui salisti una scaletta e, nello stadio azzurro, dicesti semplicemente: “Buonasera, napolitani”. Come scrivere un pezzo emozionante e essenziale pari a quel saluto?

Fosti il nostro idolo per sette anni, la nostra gioia, le nostre domeniche, le vittorie, gli scudetti, dolce e arrogante, delizioso e ribelle. Fosti la magìa del “San Paolo” e le notti alla “Stangata” e alla “Cachassa”, il campione del mondo e del Napoli, il campione di una vita segnata. Piovvero 153 miliardi nelle casse del Napoli. Tu avevi due Ferrari, una nera esclusiva, il premio di Ferlaino dopo la conquista della Coppa Uefa, una Rolls Royce decappottabile, una Mercedes, due Renault e una Hyunday perché eri il re di Napoli. Il pittore di strada salernitano Alfredo Di Leva, che dipingeva volti di madonna sui marciapiedi, compose sull’asfalto di Fuorigrotta coi gessetti colorati un tuo gigantesco ritratto. Da vent’anni Napoli non riceveva la visita di un capo dello Stato. Arrivasti tu, oh pibe, e ce ne dimenticammo. Tu eri il nostro Re.

(8 – continua)

ilnapolista © riproduzione riservata