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L’onore di aver vissuto l’era di Marek Hamsik

Il suo status di leggenda, per il Napoli, va oltre i numeri impressionanti (più di un gol ogni cinque partite). È diventato un idolo senza fare rumore

L’onore di aver vissuto l’era di Marek Hamsik

Marek Hamsik di Banská Bystrica, Slovacchia, è stato uno dei calciatori più iconici ma soprattutto più forti del campionato italiano del terzo millennio, nonché uno dei migliori centrocampisti nel panorama calcistico mondiale della sua generazione. Soprattutto però, è un’autentica leggenda per il Napoli e per Napoli. Secondo soltanto a quel numero 10 lì (sì, proprio lui), di un calciatore il cui nome, per dirla alla maniera di un’altra bandiera azzurra come Paolo Cannavaro, “risuonerà in eterno tra i vicoli della nostra città”.

Capire appieno Marek Hamsik per qualcuno può non essere semplice, ma chi ci riesce si è deliziato ad ogni partita del fuoriclasse slovacco. 520 solo con il Napoli, record di sempre per il club, conditi da 121 gol e 100 assist tondi tondi (fonte Transfermarkt). Da centrocampista. Pazzesco. Ma per andare oltre, i numeri di Hamsik, seppur clamorosi, bisogna metterli da parte per non risultare addirittura riduttivi. È un centrocampista di una completezza unica. Ambidestro come se ne sono visti davvero pochi nell’ultimo periodo, in un campo di calcio sa fare praticamente qualsiasi cosa con il pallone e non.

La cosa che da sempre ha colpito di più di questo calciatore è la sua capacità di far apparire semplici cose che semplici non sono. Ad esempio lui aveva un primo controllo di una pulizia e di una precisione disarmante: nelle azioni di Hamsik, si nota che mentre sta per ricevere il pallone si guarda sempre intorno, alla ricerca di una lettura anticipata per rubare tempo e spazio agli avversari, poi la palla la riceve e subito alza di nuovo lo sguardo per verificare l’esattezza di ciò che aveva programmato due secondi prima. Se le sue previsioni sono corrette, metterà la palla nel momento migliore, nello spazio giusto e con i giri giusti, di destro o di sinistro è soltanto una mera formalità.

Dimostrazione lampante di ciò che ho appena scritto la si può avere al primo gol di Insigne in un Napoli-Fiorentina dell’ottobre 2015: un assist di Hamsik talmente incredibile che ancora ricordo Costacurta e Bergomi nel post partita di Sky discutere di come il difensore avrebbe dovuto mantenere posizione e postura, non giungendo a conclusione univoca. Altro aspetto caratteristico di Marek Hamsik è nell’essenzialità dei suoi gesti tecnici: mai lo si è visto toccare la palla una volta in più o una volta in meno, sia per il controllo sia per il passaggio. Già, il passaggio: nel corto si è dimostrato un maestro soprattutto sotto la gestione Sarri e nel lungo un maestro lo è sempre stato.

A tal proposito, invito a rivedere il lancio di 50 metri di collo esterno a Callejon per il primo gol del Napoli contro la Samp a febbraio 2019, sua ultima partita in azzurro, oppure l’assist a Milik in Napoli-Bologna del settembre 2016, ma la lista sarebbe infinita e mi fermo a questi due. Mai una giocata fine a sé stessa, mai un dribbling per il solo gusto di farlo, mai una “skill” alla brasiliana, mai una giocata forzata o senza senso: Marek Hamsik racchiude l’essenzialità e il pragmatismo dei calciatori dell’est, elevato alla massima potenza.

Un calcio spartano, e proprio per questo bellissimo da guardare perché, come diceva il più grande cervello calcistico di tutti i tempi, ovvero Johan Cruyff, “Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è difficilissimo”. Quando si parla di Marek Hamsik poi, non si può non parlare dei gol. Come scritto in apertura, sono 121 i gol con il Napoli, 12 con il Brescia, 5 con il Dalian, 1 con lo Slovan Bratislava e 26 con la nazionale slovacca, che fanno in totale 165 in carriera. Da centrocampista e con pochissimi rigori (tranne che a Brescia).

Ha segnato in ogni modo: di testa, di destro, di sinistro, al volo, da fuori area, su punizione, con i suoi classici inserimenti attaccando lo spazio, su rigore e perfino in mezza rovesciata, seppur a porta vuota, nel 2008 a Roma. Gli è mancato solo il gol di tacco. In 11 stagioni e mezze è andato 4 volte in doppia cifra in Serie A e 8 volte tra tutte le competizioni. Una costanza di rendimento talmente clamorosa da averlo reso quasi “banale”, scontato: i 10 gol di Hamsik li si metteva in preventivo già ad agosto, mentre tantissimi altri centrocampisti (ma anche attaccanti), se arrivano in doppia cifra stappano champagne.

Sotto l’aspetto comportamentale poi, parliamo di un esempio: una sola espulsione (per somma di gialli) in carriera, mai una polemica, mai una parola fuori posto, mai sceneggiate con arbitri e costante punto di riferimento per i suoi compagni. Uno dei pochissimi calciatori rispettati da tutti i tifosi, al di là di qualsiasi fede calcistica, perché le bandiere suscitano rispetto e ammirazione sempre. Già, bandiera. Allegri lo voleva fortemente a Milano prima e Torino poi, Nedved ha confermato il suo rifiuto alla Juventus nel 2015 perché “non ha voluto tradire i napoletani. Con noi poteva ambire al Pallone d’oro”.

Ha vinto le stesse cose, a livello di club, di un’altra bandiera storica nonché calciatore immenso, cioè Daniele De Rossi: 2 Coppe Italia e 1 Supercoppa. Sono il primo tifoso del Napoli, ma un giocatore del genere meritava una squadra che ogni anno gli permettesse di provare a vincere tutto. Ha fatto la sua scelta e ha provato a scrivere la storia a Napoli: ci è andato vicinissimo nel 2018. Non ci è riuscito per un niente. Ha lasciato Napoli in silenzio e senza apparire, in pieno stile Hamsik e dopo aver contribuito ad avviare un nuovo ciclo generazionale.

Signori, abbiamo avuto il privilegio di assistere a 520 partite di un giocatore epocale. “Centrocampisti così non ce ne sono più” dice il mio amico Danilo, tra l’altro juventino e quindi non di parte. Ed è proprio vero, perché al di là dell’aspetto calcistico, Marek Hamsik è un esempio per chiunque si avvicini a questo sport, per correttezza e atteggiamenti, e non a caso è stato un idolo indiscusso per i bambini napoletani. E questa, forse, è la vittoria più bella.

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